Categories: Immigrazione

Sea Watch 3 e il diritto alla vita

“Fateli scendere subito!”. Anche a Catania decine e decine di cittadini, insieme con la Rete Restiamo Umani, la Rete Antirazzista, giovani stranieri e operatori di Granello di Senape – Casa Evangelica di Accoglienza, della Cooperativa Prospettiva e di Nessuno è Straniero, si sono ritrovati ieri, martedì 25 giugno, in piazza Duomo per chiedere la fine del calvario per i 42 migranti a bordo della Sea Watch 3.

Una situazione resa ancora più grave dal momento che “la Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso di non imporre al governo italiano ‘misure provvisorie’ per sospendere il decreto Sicurezza bis che vieta l’entrata della Sea Watch 3 nelle acque territoriali italiane.

Anche se la richiesta non è stata accolta a Strasburgo, la corte ha comunque “indicato al governo italiano che conta sulle autorità del Paese affinché continuino a fornire tutta l’assistenza necessaria alle persone in situazione di vulnerabilità a causa dell’età o dello stato di salute che si trovano a bordo della nave”.

Mentre quotidianamente, a Lampedusa, come in Calabria, sbarcano centinaia di migranti in fuga da guerre e fame, nel nostro Paese, l’attenzione del governo e dei media si concentra sulla Sea Watch.

Di fronte a un nuovo olocausto, con il Mediterraneo trasformato in un immenso cimitero (nel 2019 muore un migrante ogni 10, nel 2018 ne moriva uno ogni 21), il governo giallo-verde continua, purtroppo con notevole successo, nella sua opera di distrazione/disinformazione di massa.

42 migranti non vengono fatti sbarcare, nonostante in Germania si siano già detti disponibili ad accoglierli. Evidentemente, è utile inventare obiettivi ‘comodi’.

Concentrare l’attenzione sugli sbarchi, che, peraltro, non rappresentano la modalità con cui arrivano in Italia la stragrande maggioranza dei migranti, serve, appunto, a evitare di affrontare i problemi reali del Paese.

Chi scrive sa che la storia dell’umanità è caratterizzata da spostamenti e migrazioni (individuali e di interi popoli) e ritiene diritto inalienabile di ogni essere umano poter scegliere dove vivere.

Ma anche chi non la pensa così, è effettivamente convinto che alcune decine di migliaia di persone possano sconvolgere la vita di un Paese con oltre 60 milioni di abitanti? O che i migranti siano utili quando svolgono, sfruttati e sottopagati, i lavori che gli italiani non vogliono più fare, ma siano da mandare via negli altri casi?

Chi sostiene l’idea di aiutarli “a casa loro” è in grado di indicarci cosa hanno fatto i Paesi del G7 per concretizzare questo obiettivo, come hanno modificato le loro politiche?

Chi propone di fermarli in Libia sa che nessun porto libico può essere qualificato quale luogo di sbarco sicuro, non avendo la Libia aderito alla Convenzione relativa allo status dei rifugiati (Ginevra, 28 luglio 1951) ed essendo la situazione nel suddetto Stato, oggi frammentato in più entità territoriali con diversi governi, caratterizzata da sistematiche violazioni dei diritti umani, come ribadito nel 2012 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e come confermato fino ad oggi da tutti i rapporti delle diverse agenzie e missioni delle Nazioni Unite (UNHCR, OIM, UNSMIL)?

Chi si è mobilitato proseguirà, perciò, nei prossimi giorni le manifestazioni, non si può, infatti, assistere in silenzio alla negazione dei più elementari diritti umani.

Infine è evidente che Carola Rackete, la capitana della nave Sea Watch 3, presto non avrà scelta. “So cosa rischio entrando a Lampedusa”, afferma, perfettamente conscia che verrà accusata di favorire l’immigrazione clandestina, forse anche di associazione a delinquere e che la sua nave verrà multata e confiscata. “Lo so, ma quanti altri soprusi devono sopportare queste persone che ho salvato in mare? La loro vita viene prima di qualsiasi gioco politico o incriminazione”.

Per chi volesse sostenere #SeaWatch3

IBAN: DE77100205000002022288, BIC: BFSWDE33BER, Banca: Bank für Sozialwirtschaft Berlin Kontoinhaber: Sea-Watch e.V.

Chi volesse saperne di più sulla sentenza della Corte Europea

Argo

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