A riproporre la questione, di cui si è molto dibattuto nel periodo del referendum sull’acqua pubblica, è oggi il Comitato popolare per la difesa dei beni pubblici e comuni ‘Stefano Rodotà’ che si propone di recuperare il lavoro compiuto dalla Commissione presieduta dallo stesso Rodotà nel 2007 e lo schema di legge da essa prodotto.
L’obiettivo prioritario delle iniziative di questi ultimi mesi è quello di raccogliere le firme per la presentazione in Parlamento di una Legge di Iniziativa Popolare che riprenda il disegno di legge Rodotà e modifichi le norme del Codice Civile (titolo II del Libro III) in materia di beni pubblici, dando vita ad una “società cooperativa ad azionariato popolare nell’interesse dei beni comuni e delle generazioni future”.
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Normare e tutelare i beni che rappresentano risorse fondamentali per la vita dei cittadini, impedendo che siano svenduti o usati nell’interesse di pochi, significa proteggere non solo i diritti di tutti noi ma anche quelli delle (generazioni future/) Oltre a raccogliere consensi, le iniziative sui beni comuni – lanciate soprattutto da Ugo Mattei e Alberto Lucarelli – hanno suscitato critiche e perplessità anche da parte di chi, come il giurista Paolo Maddalena, condivide le preoccupazioni di fondo ma non la proposta concreta.
I dubbi sono emersi soprattutto all’interno della rete civica che fa capo al Forum Salviamo il Paesaggio e sono stati esposti da Cristiana Mancinelli già all’assemblea di lancio della raccolta delle firme, a Roma nel mese di gennaio.
Riguardano, in particolare, la partecipazione dal basso e la gestione popolare dei beni comuni, a partire da alcune formulazioni contenute nella proposta di legge Rodotà, considerata – dopo dieci anni – non più adeguata.
Di una terza posizione, espressa da comunità che oggi gestiscono beni comuni (dall’Asilo Filangieri di Napoli a Mondeggi presso Firenze, a Casa Bettola di Reggio Emilia), parla in un suo intervento Salvatore Settis, storico dell’arte e già direttore della Normale di Pisa, sempre attivo nella difesa del patrimonio culturale del nostro paese.
Settis, oltre a ricordare la storia della nascita della Commissione Rodotà, mette anche in guardia sulla “situazione assai mutata” rispetto al contesto in cui nacque la legge proposta dalla Commissione.
Il disegno di legge prevede, infatti, una delega piena al governo per la modifica del Codice civile, ma il governo di oggi – scrive Settis – “non è forse quello in cui una Lega straripante propugna una devoluzione regionale” che ha tratti inquietanti?
“Che senso ha, in questo contesto inimmaginabile nel 2008, scrivere, come fa la proposta Mattei, che “titolari di beni comuni possono essere persone giuridiche pubbliche o privati” (comma 3 c)? Che senso ha, oggi, parlare di “gestione e valorizzazione di ogni tipo di bene pubblico” anche “da parte di un soggetto privato” (c. 2e)?
E ancora, “perché abolire il Demanio senza indicare chi ne prenda il posto per rappresentare lo Stato?” Quanto al “riversamento dal demanio di Stato a quello di Regioni e Comuni, è sempre stato l’anticamera delle privatizzazioni”.
Una preoccupazione confermata dalle recenti dichiarazioni dell’assessore regionale all’Economia del governo Musumeci, Gaetano Armao, che ha annunciato la predisposizione di un bando per mettere in vendita parte del patrimonio culturale siciliano. Per fare cassa e ridurre il debito.
Non a caso Settis si chiede se “una buona proposta di legge non dovrebbe contenere forti controveleni”.
E c’è anche da chiedersi cosa, nella situazione attuale, avverrebbe della legge di iniziativa popolare dopo la sua presentazione in Parlamento. Le forze politiche presenti attualmente all’interno delle due Camere, ed in particolare quelle di maggioranza, non sarebbero chiamate soltanto ad approvarla o respingerla, potrebbero anche emendarla radicalmente e persino stravolgerla.
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Quello che nessuno dice rispetto a questo progetto è che oggi, il demanio, non è una categoria forte e che qualsiasi bene di appartenenza pubblica può essere sdemanializzata, con un provvedimento di urgenza. Come dimostramo i fatti. Nessun governo potrebbe MAI, pur stravolgendo il DDL, peggiorare la situazione. Infatti, oggi, non esiste alcuna possibilità di fermare, a livello centrale o territoriale, la.decisione di un'amministrazione qualsiasi (gialla, verde, rossa, blu o arancione), di svendere un bene pubblico. Il DDl risale al 2007. È vero, ma il codice civile è del 1942, ed il Codice napoleonico, su cui si basa il Codice Civile, anteriore al 1.800. Come si fa a difenderlo ?!?!?E ancora, al momento del lancio della proposta, MATTEI, in un articolo su Ilfatto del febbraio scorso, invitava giuristi e chiunque volesse farlo, a.scrivere insieme un articolato del Codice civile da presentare al Presidente della Camera, contemporaneamente alle firme raccolte. Come mai nessuno di questi critici, ha risposto o fatto una proposta ? Come mai, fino a pochi giorni prima del lancio dell'iniziativa , il dr. Maddalena lodatva il DDL ? Chi di loro ha mai fatto qualcosa di concreto per difendere il patrimonio di tutti noi, a parte criticare? "Il meglio è nemico del bene", sempre.