“Ora non più. Un manipolo di fabbri, accompagnati da un’agenzia di sicurezza privata, scortati da una trentina di poliziotti questa mattina hanno chiuso le porte. Un nuovo portone in ferro è stato saldato all’entrata e sono state sigillate tutte le finestre.
“Unicredit ha ottenuto dall’autorità giudiziaria lo sgombero dei locali. Fuori i bambini, dentro il nulla. La banca non farà doposcuola, non aiuterà i lavoratori, non organizzerà concerti. Il quartiere sarà ancora più solo, ancora più vuoto. Ma dicono che sia legale. Noi diciamo che è ingiusto. Profondamente sbagliato.”
Queste le parole delle ragazze e dei ragazzi del Colapesce, dopo lo sgombero del 4 giugno.
Parole ripetute da tutti coloro che sabato 8 giugno hanno dato vita a un coloratissimo corteo, partito dalla Villa Bellini e concluso di fronte ai muri sigillati del CPO (Centro Popolare Occupato).
Ottima la partecipazione dei giovani, segno che l’attività del Centro ha saputo coinvolgere e motivare.
All’interno del corteo tante realtà locali, come scrive Meridionews, “Dai Cobas ai militanti di Potere al Popolo, con qualcuno arrivato pure dalla Calabria. In mezzo le bandiere No Mous e quelle Red Militant. In coda lo striscione degli indipendentisti di Antudo”.
Di fronte ai catanesi che affollavano via Etnea, nel primo afoso sabato pomeriggio di giugno, un po’ meno di un migliaio di persone ha ribadito la propria assoluta contrarietà alla chiusura del Centro.
L’occupazione era iniziata nel gennaio del 2018, quando i ragazzi “della Piazzetta”, un collettivo politico che aveva fatto della piazzetta posta a lato dell’Istituto scolastico Archimede di Catania il proprio centro di aggregazione, avevano preso possesso dei locali che, dopo la chiusura dell’Hard Rock Caffè, erano rimasti inutilizzati per circa dieci anni.
All’interno del Centro si erano sviluppate molteplici attività, tutte gratuite. Doposcuola, laboratori teatrali e musicali, sportelli di assistenza legale per lavoratori e cittadini immigrati, ma anche tanti momenti di confronto e dibattito.
Per i ragazzi del Colapesce “vedere tante persone accanto a noi, soprattutto quelle del quartiere in cui abbiamo abitato per un anno e mezzo, vuol dire tanto: vuol dire che a Catania c’è chi crede in un altro modo di intendere la città, fatta di aiuto reciproco, di luoghi di aggregazione e resistenza quotidiana. È stato emozionante vedere con noi tante persone che ogni giorno nel loro posto di lavoro, nel proprio quartiere, nella propria associazione, nel proprio spazio sociale, lottano per un mondo migliore per tutti”.
Dopo il corteo, ora occorre trovare nuove soluzioni. Non è sufficiente, infatti, ribadire quanto sia assurdo sgomberare un centro di aggregazione per chiudere, nuovamente e per chissà quanti altri anni, quei locali.
Ribadire l’insensatezza, in una città al collasso e incapace di garantire i servizi sociali minimi, di “liberarsi” di un’esperienza capace, pur con tutti i suoi limiti, di dare risposte a bisogni elementari.
Toccherà a chi si è schierato a difesa di questa esperienza contribuire a non disperderla, perché possa realizzarsi un auspicio da tutti condiviso all’interno del corteo “dove voi fate muri, noi costruiamo l’alternativa”.
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