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Un respiro di troppo

“Un respiro di troppo” è il titolo del romanzo noir che Massimo Polimeni ha ambientato in Sicilia e che è stato presentato ieri, venerdì 31 maggio, al Palazzo della Cultura, in occasione ed a chiusura della rassegna “Maggio dei libri”.

Il giornalista Piero Maenza ha introdotto e commentato il libro, mentre Riccardo Maria Tarci ne ha letto alcuni brani

Il catanese Polimeni, dopo una carriera di giornalista nella sua città ed un lavoro manageriale che lo ha portato a viaggiare in giro per il mondo, vive ora a Roma, dove ha riscoperto un talento per la scrittura che le esperienze di una vita hanno contribuito ad arricchire.

Il noir è un genere letterario che di questi tempi conta molti appassionati e sono tanti gli scrittori, anche italiani, che vi si dedicano.

Polimeni si ritaglia il suo spazio e, con una scrittura agile, a volte scanzonata a volte introspettiva, racconta una storia che a personaggi singolari, alcuni un po’ sopra le righe ma mai troppo improbabili, affianca fatti tragici e attuali.

Il traffico di organi, i traumi dei profughi, lo sfruttamento sul lavoro, la violenza coniugale, la mentalità mafiosa così dura a morire, sono i temi, alcuni più approfonditi, altri appena accennati, presenti nel libro.

Un po’ troppi, forse, ma la storia scorre veloce e le brevi ed originali annotazioni sul paesaggio, le citazioni da scrittori amati, le argute descrizioni fisiche dei personaggi, punteggiano la vicenda e ne rendono più vivace il tono smorzando le scene più truci.

Un po’ di cinismo in questo genere di narrativa è d’obbligo, e si sente che all’autore non manca la conoscenza dell’animo umano e dei suoi più bassi istinti, ma c’è anche uno sguardo interessato al grande mistero che è ogni uomo, ed è sempre presente un granello di pietà per le esistenze miserevoli di uomini che spesso annegano nella solitudine mentre combattono contro qualcosa più grande di loro, un trauma, una malattia, o semplicemente il male ineffabile di essere al mondo.

Poi c’è la Sicilia, e il suo mare soprattutto, magnifico sfondo di una storia nella quale si muovono, insieme ai tanti siciliani, un nero americano con la passione del blues che fugge da un delitto commesso e da una vita di miseria e sfruttamento, una profuga siriana traumatizzata dal passato ma con una grande capacità d’amore, un arabo colpevole di un grosso furto, un bambino che ha bisogno di essere salvato.

Man mano ci vengono presentati anche altri personaggi, sempre oggetto di curiosità amichevole da parte dell’autore.

Facciamo così la conoscenza di un pescatore di Ognina immancabilmente fedele della “madonna bambina”, di alcuni avventori in un bar malfamato della Plaia, e certo non può mancare la figura dell’ispettore, in questo caso gravemente malato, ma che ha comunque la forza e l’acume di condurre le indagini necessarie alla risoluzione del caso.

Alla vicenda principale legata ad un losco traffico d’organi si intrecciano le storie di una altezzosa nobildonna palermitana, di un uomo che ha incontrato l’amore ma che per viverlo ha bisogno di un cuore nuovo, e di un siciliano di ritorno dopo tantissimi anni dall’America per seppellire l’odiato fratello.

Tra i protagonisti figura infine la città di Catania: amata, odiata, nella quale è difficile vivere ma che è difficile abbandonare per sempre.

Sparse lungo la storia ci sono tante piccole curiosità legate alla città: aneddoti, descrizioni un po’ innamorate e un po’ irritate, perché Catania cela la sua bellezza sotto un degrado di cui non si vede la fine e, mentre si disprezza, custodisce i ricordi dell’infanzia e della giovinezza e riempie il cuore di nostalgia, malgrado tutto.

Argo

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