Ci sono già i furbetti del reddito di cittadinanza, ma ci sono anche storie che fotografano una realtà ben più amara. Storie locali, in una Sicilia che con 150 mila domande è la seconda regione italiana, la prima è la Campania con 160 mila, ad avere accesso al programma di sostegno voluto dal governo per combattere la povertà.
Da una parte c’è chi ha preso la card gialla per acquistare generi alimentari e pagare l’affitto ma in realtà, è accaduto qualche giorno fa a Palermo, si è messo in fila alle casse del supermercato e ha proposto ad una signora davanti a lui di usare la carta al posto suo, ovviamente facendosi dare il corrispettivo in denaro. C’è il caso di un operaio, percettore del reddito, scovato a lavorare in nero dai finanzieri di Palermo in un cantiere edile a Bagheria.
Ma c’è anche la battaglia di civiltà condotta da Sergio, ex ricercatore del Cnr di Catania che si è messo in fila al Caf della Cgil per chiedere il reddito di cittadinanza.
Da tre anni, non lavora più, anche se la sua passione la ricerca, continua.
Una vita da agronomo spesa tra la facoltà di Agraria di Catania dove ha lavorato con borse di studio per 13 anni e poi il concorso vinto come ricercatore a tempo determinato al Cnr di Catania. Nel 2011 il contratto non viene rinnovato.
“Da qui la scelta di fare ricorso a questa scialuppa di salvataggio, dice Sergio, di fronte a tante ristrettezze cadute come macigni sulla mia vita”.
Alla fine il reddito di cittadinanza non gli viene concesso perché l’anno scorso sul suo conto corrente c’era un residuo di risparmi accumulati nel tempo per andare avanti.
Troppi, poco piu’ di sette mila euro e così niente card gialla. “Per lo Stato, dice l’agronomo, posso vivere d’aria ma non mi arrendo lo devo ai miei figli e alla collettività. Il reddito è una provocazione, nel mio caso, perché bisogna puntare al riconoscimento della professionalità”.
E Sergio ne ha da vendere con i suoi studi sulla biodiversità e sulle tecniche di riduzione delle molecole chimiche dannose contenute nelle verdure che mangiamo.
Tante le ore e i giorni passati a ricercare le componenti bio attive degli ortaggi (gli brillano gli occhi quando parla del suo lavoro), importanti con i loro principi attivi contro le malattie degenerative.
Sente tutta la responsabilità della sue ricerche questo agronomo che in questi anni non si è dato per vinto e ha condiviso la sua battaglia con altri 850 ricercatori in tutta Italia, di questi 80 solo in Sicilia, per aver riconosciuto il diritto alla dignità del lavoro .
Snocciola tutto d’un fiato il suo iter tra le pastoie burocratiche che hanno bloccato di fatto l’assunzione. “Uno spiraglio dovrebbe aprirsi, è lui stesso a dirlo, perché i fondi nazionali assegnati al Cnr dovrebbe essere impiegati garantendo lo scorrimento della graduatoria e allora sì che arriverebbe il contratto a tempo indeterminato” .
In attesa non ci pensa proprio ad andare all’estero. Dove avrebbe più chance.”In tanti me lo hanno suggerito ma io resto a casa mia, non mi arrendo”.
La sua vicenda parla di una realtà che fa i conti con i numeri del Cnr, il centro nazionale di ricerca pubblico più importante d’Italia, in tutto ci lavorano 10 mila persone,
soprattutto ricercatori ancora precari.
Per questo si è costituita due anni fa la rete nazionale “Siamo tutti precari” che riunisce più di mille ricercatori , 870 solo del Cnr.
Durante l’ultima manifestazione davanti a Montecitorio il 14 maggio, ogni ricercatore ha indossato una maglietta nera segno della morte della ricerca. “Un Paese che non investe in innovazione e ricerca, aggiunge Sergio, è un Paese che non ha futuro. È ora di cambiare rotta”.
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Si spera venga "cambiata rotta" in pace e non come oggi si tenta in sud America.
Quella gentaglia politica che ci ha ridotto nelle attuali condizioni deve essere rimossa al più presto ma con fermezza ed urgenza democratica.