Sono anche gli occupanti di case, i centri sociali e la protesta non convenzionale e dirompente i destinatari delle politiche di Salvini e del governo.
Tutti colpiti dallo stesso atto normativo, insieme a migranti, ONG e operatori sociali.
“I destinatari di queste politiche non sempre – tuttavia – sembrano uniti nelle risposte”.
Così, Gianni Piazza (Università di Catania) nell’introdurre i lavori del convegno su “Le conseguenze della legge ‘Sicurezza’ e delle sue retoriche su migranti, operatori e attivisti sociali in Sicilia”, promosso a Catania, qualche tempo fa, dalla Rete Antirazzista Catanese.
Un convegno che si è proposto di ragionare non solo sugli effetti verso i migranti del cosiddetto Decreto sicurezza e della legge 132/18, ma anche sull’insicurezza prodotta da un provvedimento che affronta i problemi sociali (dalla questione della casa, alle lotte per il lavoro) come se fossero esclusivamente questioni di ordine pubblico.
Fulvio Vassallo Paleologo (Università di Palermo) ha messo preliminarmente in rilievo come la sostanziale abrogazione della protezione per motivi umanitari abolisca una forma di protezione che è diretta attuazione di una prescrizione costituzionale.
E tutto questo mentre viene attaccato il diritto di difesa dei richiedenti asilo, avviato, peraltro, con il decreto Minniti del 2017.
Infatti, “i termini abbreviati per proporre impugnazioni contro decisioni di diniego delle richieste di protezione e l’attacco al patrocinio a spese dello stato rendono sempre più ardua l’effettiva applicazione del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione”.
E ciò con l’obiettivo, da parte del governo, di ottenere il maggior numero possibile di dinieghi.
E determinando “una crescita esponenziale delle situazioni di clandestinità ed un generale intasamento delle strutture di trattenimento amministrativo e delle sedi giudiziarie nelle quali si dovranno esaminare i ricorsi”.
Tutto in un quadro generale [come già rilevato da Argo, n.d.r.], nel quale si dimostra irrealizzabile la politica dei rimpatri di massa.
Infine, Vassallo Paleologo si è soffermato sui nuovi casi di trattenimento amministrativo al di fuori dei CPR (centri per il rimpatrio) evidenziando i “gravi rischi di violazione diretta dell’art. 13 della Costituzione italiana che afferma che la privazione della libertà personale disposta dall’autorità di polizia ha una durata limitata (48 ore) prima della convalida del magistrato, e non può che essere adottata in casi eccezionali e urgenti”.
Ha concluso affermando che occorrerà contestare queste politiche rivolgendosi, anche, all’Unione Europea che “impone standard minimi di accoglienza e il rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo”.
Carlo Colloca (Università di Catania), in riferimento alla gestione dei processi migratori, ha preliminarmente sottolineato che “si registra una volontà politica ed economica di riordinare gerarchicamente lo spazio fisico e sociale, a partire dalla sedimentazione di approcci coloniali nella cultura occidentale”.
Un approccio “coloniale” determinato anche dalle “esigenze di economie agricole locali che non potrebbero competere sul mercato globale se non facessero ricorso al lavoro straniero sfruttato, concentrato all’interno di spazi prodotti socialmente (le tendopoli) o regolamentati dalle istituzioni (i CARA)”.
Un approccio che, combinato con la “paura dell’altro”, ridisegna gli ambienti urbani in modo tale da rispondere alle presunte minacce e/o alle “invasioni” provenienti dall’esterno.
Per esempio, ponendo ostacoli per impedire l’accesso ai soggetti indesiderati o rendendo “normali” improbabili luoghi residenziali come fabbriche abbandonate, aree ferroviarie dismesse, angoli di giardini pubblici, ecc.
E così, “mentre si tengono a distanza gli immigrati, gli autoctoni si autosegregano in arcipelaghi composti da isole iper-protette e collegate fra loro […]
Una separazione che per taluni è ‘necessaria’ a seguito dell’irrompere degli stranieri in quello spazio fisico che era considerato riservato ai non-stranieri.
“L’auspicio – ha concluso Colloca – è che possa svilupparsi una cultura IMBY (in My Back Yard) che smentisca l’opinione secondo cui i bisogni dei migranti gravano eccessivamente sui governi nazionali”.
Nella consapevolezza che “molte delle problematiche sollevate dalla presenza dello straniero immigrato riguardano fasce sempre più ampie di un sotto-proletariato autoctono, urbano rurale.
Quindi, a partire dalle risposte alle esigenze dei migranti si potrebbero trovare soluzioni a problemi diffusi di marginalizzazione socio-economica e territoriale, la cui etnicizzazione si spiega soltanto per ragioni di retorica politica”.
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