Un chilo di pomodori di Pachino, che costa ai produttori circa 40 centesimi, a Milano viene pagato 7,5 euro, a Londra 14, in Canada 15.
Questi pomodori, la cui coltivazione è controllata dalla Stidda, la mafia del ragusano, si sono rivelati un affare appetitoso.
I margini di guadagno sono persino più alti di quelli realizzati con la vendita di cocaina, perché la verdura non si va a prendere in Sudamerica, non si deve contrabbandare in Europa, ed in più è innocua.
Un’inchiesta della Suddeutsche Zeitung, apparsa lo scorso febbraio su Internazionale nella sezione “Visti dagli Altri”, mette in luce un problema rilevante di cui si parla ancora troppo poco e che smuove un giro d’affari di 24,5 miliardi di euro l’anno.
Nell’articolo viene detto chiaramente che la mafia ha ormai messo le mani su tutto quello che costituisce l’orgoglio della cucina italiana nel mondo: olio d’oliva, vino, ortaggi, frutta, mozzarelle e formaggi vari, salumi.
Questa, che oggi viene chiamata con il termine più preciso di agromafia, si occupa dell’intera filiera: dalle coltivazioni e produzioni, ai trasporti, fino ad arrivare ai supermercati ed ai ristoranti.
Pare che ben cinquemila locali, tra bar, pizzerie e ristoranti disseminati nelle principali città italiane, siano gestiti direttamente da ‘ndrangheta e camorra.
Secondo il rapporto annuale realizzato dall’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema alimentare e dall’Eurispes, le agromafie, cioè tutti i tipi di associazioni criminali e le loro zone grigie, sono cresciute nell’ultimo anno del 10 per cento.
Questo perché fanno affari enormi rischiando poco.
Le leggi italiane antisofisticazione sono ormai superate, non tengono conto dei nuovi metodi di falsificazione ed adulterazione dei prodotti.
Inoltre questa generazione di mafiosi eguaglia per competenze finanziare e di marketing i più abili uomini d’affari, rendendo così difficile perseguire l’illegalità che spesso si nasconde in attività del tutto lecite.
C’è per esempio il business legato al così detto ‘italian sounding‘: sono i prodotti venduti nei supermercati di tutto il mondo che d’italiano non hanno proprio nulla, se non le etichette che raffigurano monumenti celebri come il Colosseo o la torre di Pisa, e nomi che suonano vagamente italiani. In Brasile viene venduta persino un’improbabile “mortadella siciliana”.
È un settore redditizio che, ingannando i consumatori, fattura circa cento miliardi di euro l’anno, e le mafie, che comprano questi prodotti da aziende alimentari straniere e li distribuiscono in tutto il mondo, ne incassano la metà.
L’agromafia si espande sempre più in settori legali per riciclare i soldi sporchi e mette in ginocchio i piccoli produttori onesti che devono pagarle il pizzo o venderle i propri prodotti ad un prezzo molto al di sotto del valore del mercato.
Anche il mercato ortofrutticolo di Milano è in mano alla ‘ndrangheta, secondo quanto affermato dall’ex procuratore della repubblica Giancarlo Caselli.
In Sicilia dobbiamo al giornalista Paolo Borrometi la prima grande inchiesta, per il giornale on line La Spia, sul fenomeno delle agromafie e, più precisamente, sull’infiltrazione mafiosa nel mercato ortofrutticolo all’ingrosso di Vittoria.
Nel suo reportage Borrometi ha indagato e denunciato l’onnipresenza della mafia in tutti i settori riguardanti la produzione e la vendita dei prodotti ortofrutticoli, compresi concimi, materiali plastici per le serre, cassette di legno per il trasporto dell’ortofrutta.
La maggior parte dei 74 banchi del mercato, ora chiuso, erano gestiti direttamente dai mafiosi. Le postazioni saranno riassegnate, ma dovranno soddisfare i nuovi criteri richiesti dall’Autorità nazionale anticorruzione. Chissà se basterà.
Borrometi nel frattempo ha dovuto lasciare la Sicilia e vive a Roma sotto scorta, sono quattro i clan che lo minacciano di morte. Gli ex titolari di un banco del mercato di Vittoria gli hanno fatto sapere che cuoceranno il suo cuore in padella e se lo mangeranno.
Anche Roberto Battaglia, uno dei più noti produttori di mozzarella di bufala campana, ha dovuto abbandonare, strozzato dal pizzo, la sua fattoria di Caiazzo. Ora gestisce un punto di produzione e vendita a Eataly a Roma, il supermercato delle eccellenze gastronomiche italiane.
A Battaglia la scorta è stata tolta nel 2018, e chissà perché, visto che è un testimone chiave contro i clan casalesi degli Zagaria e degli Schiavone ed ha testimoniato contro la camorra in ben cinque processi. Adesso, quando va a Napoli a testimoniare, non c’è più nessuno a proteggerlo.