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AIP, il 'decreto sicurezza' mina le basi della convivenza civile

Il ministro Salvini si è fatto largo nell’arena politica a forza di promesse su un tema che in questi tempi incerti e violenti sta a cuore a tutti noi: la sicurezza. Nostra, delle nostre cose, del nostro paese.
Ecco allora il famoso Decreto Sicurezza, ovvero la legge 132/2018, che vara misure che promettono un paese più tranquillo ed una vita più protetta.
Ci stanno dentro la lotta alle mafie, il contrasto al terrorismo, sperimentazioni di più efficaci mezzi repressivi, l’introduzione di nuovi reati che limitano alcune libertà viste come pericolose e fomentatrici di disordini.
E naturalmente l’immigrazione, considerata non come fenomeno complesso che va governato nelle sue diverse componenti giuridiche, psicosociali e culturali, ma esclusivamente dal punto di vista della sicurezza del paese che accoglie.
Con conseguenze, però, che contraddicono le premesse e le promesse della stessa legge.
Gli immigrati, di fatto rappresentati come una minaccia per la società alla pari di terroristi, mafiosi e delinquenti, vengono infatti per decreto privati ulteriormente di protezione e tutele, e relegati ad una condizione di marginalità quando non di clandestinità vera e propria.
L’eliminazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e il depotenziamento del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), come Argo ha già scritto, oltre a indebolire le “tutele giuridico-assistenziali dei rifugiati”, annullerà i percorsi di “proficuo inserimento” iniziati da molti immigrati e aumenterà il numero degli irregolari (nell’ordine di sessanta-settantamila, secondo previsioni attendibili).
A levare una voce allarmata sugli effetti culturali e sociali di questo approccio è l’Associazione Italiana di Psicologia, società scientifica dei ricercatori e professori universitari di psicologia, di cui Santo Di Nuovo è presidente.
L’AIP riconosce al legislatore il tentativo di dare una risposta al radicale senso di incertezza economica e sociale che pervade la nostra società, ma è preoccupata per il modo col quale la politica risponde a questo senso d’insicurezza.
È vero che viviamo in un clima di profonda sfiducia nel futuro, in un contesto sociale ed economico giudicato inaffidabile e persecutorio, spaventati dalla invadente globalizzazione in atto.
La reazione a questo stato di cose però è oggi di natura prevalentemente difensiva nei confronti di minacce che si percepiscono come “esterne”, ed alle quali si reagisce spesso in maniera emotiva, rafforzando il sentimento di appartenenza identitaria che diventa chiusura etnocentrica in quanto vede nell’estraneo, nell’immigrato, la minaccia dalla quale difendersi.

I media spesso riflettono questo stato d’animo, enfatizzando esempi di comportamenti irregolari degli immigrati, tra i quali – come tra gli italiani – ci sono certo anche dei delinquenti, (ma vanno colpiti questi senza sparare nel mucchio…).
Ma ancora più grave è che la politica, con questa legge, assecondi e persino alimenti la visione dell’altro come pericolo e causa di mali.
Intaccando ulteriormente il già malmesso “capitale sociale”, che è atteggiamento sociale di fiducia, unito a norme che regolano la convivenza e alle reti d’impegno civico, si rischia di danneggiare non solo l’immigrato, ma la società tutta intera.
Perché, spiega il documento, lo schema amico/nemico, data la sua natura profondamente affettiva, non resta circoscritto all’oggetto specifico che lo innesca, ma è destinato fatalmente ad allargarsi fino a prendere di mira qualsiasi forma di diversità significativa: nazionalità, genere, orientamenti sessuali, credo religioso, opinioni… in un processo di “nemicalizzazione” dell’altro che mina le basi di ogni convivenza civile, deteriorando gravemente le infrastrutture civiche ed istituzionali della società.
Invece d’integrare le differenze, invece di promuovere la complementarietà di identità e diversità, questa politica concorre a rafforzare la visione del diverso come pericolo e minaccia sociale.
Ai quali l’altro visto come pericolo risponde a sua volta in modo difensivo, in una escalation simmetrica di paure sospetti e attacchi.
Tutto questo favorisce comportamenti violenti, anche di tipo estremo, come ben abbiamo visto nei giorni scorsi, e contribuisce ad orientare l’opinione pubblica a guardare con favore possibili scenari autoritari, ponendo in pericolo le istituzioni democratiche nel loro complesso. Come purtroppo è avvenuto in altri tempi, con le tristi conseguenze che ben conosciamo…
Soffiare sul fuoco del rancore, dell’odio e della violenza è purtroppo facile, e le sue conseguenze distruttive sono ormai sotto gli occhi di tutti, per cui più difficile è placare le fiamme.
La violenza, che l’uomo cova sempre dentro di sé, reclama le sue vittime e bisogna ogni volta procurarle qualcosa da mettere sotto i denti.
Dalla notte dei tempi le vittime privilegiate appartengono a categorie esterne o marginali.
Ma la violenza domina l’uomo tanto più implacabilmente quanto questi si illude di poterla dominare con norme contraddittorie, finendo per destabilizzare l’intera comunità sociale con la pretesa di ridarle ‘sicurezza’.
Leggi il Comunicato della Associazione Italiana di Psicologia
Leggi il Documento integrale dell’AIP su Immigrazione e ‘sicurezza’ sul sito dell’Associazione

Argo

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  • Ho letto l'articolo. Ne condivido pienamente il contenuto.
    L'argomento è complesso.
    Se non si riusciranno a costruire equilibri sociali diversi, la paura crescerà e si avranno derive autoritarie.
    Siamo già nell'epoca della post-democrazia.
    Molte decisioni che condizionano la vita dei popoli non passano attraverso istituzioni rappresentative.

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