Gli alberi in città: potrebbe sembrare ovvio ma vorremmo lo stesso ricordarvi che non sono loro che hanno scelto di soggiornare in mezzo a noi, nei nostri striminziti giardini, dentro minuscole aiuole lungo i viali a respirare smog e a sorbirsi tutti i rumori di cui la nostra invadente civiltà è capace.
Avessero potuto scegliere avrebbero senz’altro preferito il bosco. Chissà poi perché non pensiamo mai che, come noi, anche gli alberi vogliono stare comodi, che amano distendere le lunghe radici, e che poi adorano allargare per bene le chiome, secondo il disegno stabilito per ogni specie, né più né meno, e godere della luce del sole.
Li vogliamo nelle nostre città, questi antichi abitanti della terra, pervasi da una sbadata nostalgia di verde e natura, ma non ce ne prediamo cura e quando li vediamo maltrattati raramente leviamo voci in loro difesa.
E anzi, vorremmo dirvi, facciamo di più e di peggio: li guardiamo spesso, sempre più spesso, come dei nemici, addossando loro colpe che proprio non hanno. Eppure, con un po’ di attenzione e metodo, la coabitazione degli alberi con l’uomo nelle città potrebbe rivelarsi più soddisfacente e facile del previsto.
Durante una delle Conversazioni Etnee organizzate dall’associazione Etnaviva, Francesco ed Alberto Borgese, padre e figlio, agronomo paesaggista il primo, architetto di formazione, arboricoltore e tree climber il secondo, sono venuti a parlarci dell’importanza di una corretta manutenzione e gestione delle alberature urbane, sia pubbliche che private.
E degli errori imperdonabili che ancora amministrazioni pubbliche e cittadini privati si ostinano a fare.
Di recente e sempre più spesso gli alberi urbani sono balzati agli onori della cronaca per la loro presunta pericolosità.
Chi di noi non ha in mente immagini di alberi che si sono abbattuti su macchine, tetti delle case, strade, provocando vittime e danni considerevoli?
Eppure la colpa è solo nostra, perché il verde urbano è miserevolmente progettato ed ancora più malamente gestito.
L’albero, questo sconosciuto! Quanti di noi conoscono i delicati complessi fenomeni che avvengono al suo interno? Chi sa cosa è l’alburno, cos’è il libro dell’albero?
Oramai non riconosciamo più neanche le specie a cui appartengono, questi estranei, che vivono tra di noi silenziosi e così adattabili da farci dare per scontato che rinverdiranno ad ogni primavera e mitigheranno con il loro fresco riparo di foglie il caldo afoso dell’estate!
Non ne conosciamo i nomi, figuriamoci le caratteristiche, diverse da specie a specie: ci sono i giganti, i platani per esempio: vogliono crescere ed è inutile continuare a capitozzarli senza pietà costringendoli a stremarsi di fatica per ripristinare quello che la loro natura gli impone, rendendoli così preda di infezioni e minandone l’equilibrio a causa dello scompenso tra chioma ed apparato radicale.
Ci sono gli alberi amanti della luce piantati all’ombra, che curvano il tronco a cercarla, così sbilanciati che sono pronti a crollare alla prima seria tempesta.
Ci sono alberi con apparati radicali molto estesi, ad esempio le magnolie, i ficus, che vengono sconsideratamente piantati vicino a condutture dell’acqua, del gas, vicino a fondazioni, e non si vede come non possano fare danni rompendo tutto quello che ostacola il prevedibile sviluppo delle radici. E tranciare parti dell’apparato radicale, come pure qualcuno usa, è un modo sicuro per far sì che cadano.
Ci sono alberi che si faranno alti e larghi e andranno ad invadere il terrazzo del vicino, ma arrestarne lo sviluppo non si può, è come impedire ad un bambino di crescere: e come mai nessuno di noi si è mai meravigliato della crescita di un bambino ed invece ci si irrita per un albero che ha raggiunto la sua compiutezza di adulto? Non era forse anch’essa prevedibile?
I Borgese ci ricordano che quando si pianta un albero bisogna essere consapevoli di cosa e di dove si pianta.
Ci spiegano che potare un albero significa aiutarlo ad assumere la sua forma naturale. E siccome un albero sa qual è la sua forma naturale, la potatura migliore è anche la meno invasiva, diciamo eliminare qualche ramo secco, sfoltire di poco la chioma in modo da creare passaggi per il vento… nient’altro.
Per far star bene un albero lo scavo dev’essere almeno due, meglio tre volte più grande della zolla che vi piantiamo, il colletto alla pari con il terreno, poi bisogna aggiungere compost nutriente e pacciamare per tenere al caldo le radici ed infine, dato che nell’alberello giovane il tronco è esile, sostenerlo con dei tutori, tre è il numero perfetto, legati con fasce elastiche.
Se vogliamo marciapiedi integri conviene poi piantare alberi piccoli che non hanno bisogno di molto spazio per le radici, un esempio virtuoso per esempio sono gli aranci amari piantati a Catania in Corso delle Provincie.
Con l’attenzione, con progetti sensati e curati da professionisti competenti, con le cure giuste, gli alberi potrebbero farci compagnia ancora a lungo, se ci degnassimo di fidarci di loro e se sentissimo l’albero un po’ più nostro: non è solo un arredo, ma una compagnia che ci rallegra e ci conforta.
Molto ben scritto, ma soprattutto pensato.Anche per questi esseri viventi abbiamo il dovere di nutrire amore e rispetto nelle giuste misure, quelle che loro stessi ci suggeriscono