Non solo l’autore del gesto violento, ma anche la vittima e tutta la comunità devono essere coinvolti: è quello che prevede la giustizia riparativa o rigenerativa, come qualcuno preferisce chiamarla.
In questa visione della giustizia non abbiamo al centro l’imposizione di una pena da scontare ma il recupero della relazione. Argo ne ha già parlato riportando l’esperienza di faticoso dialogo condotta tra i responsabili della lotta armata degli anni settanta e i parenti delle vittime, così come viene raccontata ne “Il libro dell’incontro”.
Di un altro libro, manuale e saggio teorico insieme, presentato a Catania per iniziativa delle chiese metodista e valdese e della comunità dell’Arca, ci parla oggi il sociologo palermitano Enzo Sanfilippo.
Nonostante l’invito di Gandhi a considerarlo un “dono” per la crescita dell’umanità, il conflitto resta, ad oggi, un tabù, una dimensione della vita da evitare piuttosto che da attraversare.
Eppure nel verbo ‘confligere‘ non c’è solo l’idea dello scontro (cum+fligere) ma anche quella dell’incontro, il significato ulteriore di riunire, avvicinare.
Un significato individuato, nel dizionario latino, da Marineta Cannito Hjort, formatrice e consulente internazionale in materia di Trasformazione dei conflitti e Giustizia Rigenerativa.
Il suo libro “La trasformazione dei conflitti. Un percorso formativo” (Claudiana, 2017), presentato anche a Catania nella scorsa primavera, si offre a noi contemporaneamente come manuale e come saggio teorico.
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Tecniche di comunicazione e di mediazione vengono suggerite senza mai oscurare la visione ontologica che può ispirare l’agire e quindi le azioni, le tecniche, le professioni.
La postazione da cui parte l’autrice è centrata su situazioni “micro”: l’incontro tra autori e vittime di reato è infatti il campo innovativo sperimentato spesso a fianco di operatori dei sistemi giudiziari e penali.
Ma proprio a partire dai percorsi personali di trasformazione interiore di vittime e carnefici diviene quasi necessario per Marinetta Cannito aprire il campo di riflessione dal personale al relazionale, allo strutturale e sistemico, al culturale.
Come scrive Cannito, “affrontare la comunicazione in un atteggiamento collaborativo, di ascolto non è solo una scelta di stile, ma è un cambiamento di paradigma…”
Non parliamo qui di un paradigma per la risoluzione di conflitti, quanto di un modello generale che interpreta il mondo: il mondo interiore, il mondo fuori di noi e la relazione fra l’uno e l’altro, le comunità, le organizzazioni, la società.
La riflessione sul conflitto si pone quindi, nella attuale crisi dei saperi sociali e delle ideologie che li hanno ispirati, come un approccio innovativo poliedrico, come un pensiero che riesce ad aggiungere qualcosa di rilevante in tutte le sfere dell’agire umano: dalla scienza alla politica, alla religione, al diritto.
Aggiungere, il termine caro ad Aldo Capitini, filosofo perugino, padre della nonviolenza italiana, che non annienta il modo di agire e di vedere dell’avversario, ma introduce un nuovo elemento che può essere utile all’evoluzione infinita dell’uomo e delle sue forme sociali.
Che la realtà sia conflittuale può trovarci tutti d’accordo, quello che l’occidente deve ancora ricevere dalla nonviolenza è la profonda interconnessione del travaglio della coscienza individuale con le forme organizzate del vivere sociale.
È proprio quando io sono una parte del conflitto, o sono comunque chiamato da qualcuno ad entrare nel campo di un conflitto apparentemente altrui, che coscienza e conoscenza si scindono fino a che possono nascere domande come “sono veramente certo di avere ragione?” “qual è la parte di ragione del mio avversario?”
Tutto ciò richiama a un “profondo” nel modo di vedere il mondo e se stessi, la dimensione strutturale e nello stesso tempo interiore del bene e del male. Ecco perché la trasformazione dei conflitti ha a che fare con la spiritualità, e con quel dato trascendente e indimostrabile dell’unità del genere umano.
E richiama nello stesso tempo al “politico”, nel senso che – e uso ancora le parole di Marinetta – “l’approccio della trasformazione dei conflitti ha messo in luce come l’adozione di una prospettiva incentrata sull’interdipendenza dei rapporti e sul movimento delle dinamiche relazionali, sfrutti l’opportunità intrinseca di ogni conflitto di stabilire un nuovo ordine di vita e operare cambiamenti sulla stessa struttura socio-culturale in cui tali rapporti si sviluppano”.
Detto tutto ciò, va ancora aggiunto che l’originalità del testo sta nell’aver saputo coniugare la riflessione teorica, che abbiamo cercato di tratteggiare, con preziose indicazioni operative. Il libro è infatti strutturato come un manuale che può guidare la formazione di chi voglia aiutare la trasformazione dei conflitti, in qualunque ambito e con formazioni di base diversificate.
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