Sebbene la Francia pratichi una riconosciuta politica neo coloniale, le affermazioni fatte dai dirigenti del M5S ci hanno lasciato perplessi.
“Finchè non avremo risolto la questione del franco CFA, la gente continuerà a scappare dall’Africa” (Che tempo che fa, Domenica 20/1/2019), hanno dichiarato Di Maio e Di Battista, dimostrando una certa improvvisazione proprio su un argomento studiato con serietà in varie sedi universitarie e diplomatiche, tra cui il nostro Ministero degli Esteri.
Lo stesso Ministero ha, infatti, di recente pubblicato alcuni dati che contraddicono le sortite del vice primo ministro italiano e del suo compagno di partito.
Non solo perchè da questi dati emerge che solo una piccola parte dei migranti che sbarcano in Europa rimane in Italia, ma soprattutto perchè le ragioni che determinano la scelta di emigrare sono molto più complesse.
Sulla questione abbiamo voluto sentire il parere di Nicolas Pons Vignon, professore di Economia politica sbarcato da Parigi all’Università del Witwatersrand di Johannesburg.
Il professore ha acceso le luci su alcuni aspetti di sua competenza.
Ha innanzi tutto spiegato come le cause del sottosviluppo siano spesso comuni a vari paesi del continente africano, comprese le ex colonie italiane, e da molto tempo prima che fosse istituito il CFA (1945).
Oggi – conferma Vignon – è innanzi tutto la crescita demografica impetuosa del continente africano, secondo la teoria della Transizione demografica, a spiegare in buona parte l’emigrazione delle popolazioni.
La crescita demografica, non accompagnata da opportunità di lavoro altrettanto numerose, non può che indurre i giovani più intraprendenti o disperati a cercare altri luoghi di vita.
Si tratta di una emigrazione molto più ampia di quella che noi rileviamo in base agli arrivi sul Vecchio Continente.
I migranti in generale, e specialmente quelli che si dirigono verso l’Europa, non sono tuttavia i miserabili dei loro Paesi, non sono mai i più poveri, ma coloro che hanno una qualche base culturale e/o economica, e soprattutto di iniziativa e di fiducia in se stessi, che li convince di potere superare le difficoltà del viaggio e dell’inserimento nei paesi di passaggio e di arrivo.
Ciò premesso, è noto che esistono forme di neocolonialismo che contribuiscono al sottosviluppo delle regioni africane. La politica monetaria francese ne è una manifestazione.
Ma il sottosviluppo africano è causato da molti fattori concorrenti: l’analfabetismo, il controllo e lo sfruttamento delle risorse da parte di imprese straniere, non solo risorse minerarie ma anche grandi estensioni di terreno sottratto alla coltivazione dei prodotti locali con conseguente riduzione alla fame delle popolazioni, i conflitti alimentati dalla vendita di armi, l’imperante corruzione.
Ridurre la causa delle migrazioni agli effetti del CFA è pertanto inaccettabile sul piano scientifico.
Sarà forse un tentativo, da parte del vice-primo ministro italiano, di distrarre l’opinione pubblica preoccupata dai problemi interni irrisolti?
Oppure, nelle parole in libertà dello stesso vice-primo ministro, dovremmo leggere anche una sorta di invidiosa soggezione nei confronti della Francia per il peso che esercita nelle istituzioni comunitarie?
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