26 settembre 1988, nel trapanese viene ucciso Mauro Rostagno. A trenta anni di distanza non è ancora stata fatta piena luce su questo omicidio che mise fine al percorso di vita di questa figura per tanti aspetti emblematica della generazione del Sessantotto.
Tra i fondatori di Lotta Continua, dopo l’abbandono della militanza politica, approdò in Sicilia dove diede vita – coerentemente con l’interesse maturato per le filosofia orientali – a una comunità di “arancioni”, Saman, trasformata poi in un centro di recupero per persone tossicodipendenti.
Non ritenendo sufficiente l’impegno sociale sul campo, Rostagno decise di non trascurare la sua passione di sempre, il giornalismo.
Dagli schermi di una delle tante piccole televisioni locali di quel periodo (R.T.C.) inizia a denunciare le collusioni fra la mafia e il mondo della politica, in un territorio, quella del trapanese, che ancora oggi Claudio Fava, presidente della commissione regionale antimafia, denuncia ostaggio della mafia e della massoneria.
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Le prime tappe dell’inchiesta sull’omicidio furono scandite da depistaggi e anomalie. Tanto che inizialmente le indagini furono dirette contro gli amici di Rostagno impegnati nella gestione della comunità Saman e, addirittura, contro la sua stessa compagna, Chicca Roveri, che venne persino incarcerata.
Solo quando, a quasi dieci anni dal delitto, l’inchiesta passò alla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo emerse con chiarezza, come verrà confermato da due gradi di giudizio, che l’omicidio era stato voluto dagli esponenti di Cosa Nostra della provincia di Trapani, che non sopportavano le pubbliche denunce del giornalista.
A impedire un corretto lavoro degli investigatori contribuì, anche, la sparizione di una videocassetta con la scritta “non toccare”, che Rostagno conservava sulla scrivania, dove, come si legge nelle motivazioni della prima sentenza, erano probabilmente contenute rivelazioni importanti.
Nel febbraio di quest’anno (2018), la corte d’Assise d’appello di Palermo ha confermato la condanna all’ergastolo per il boss Vincenzo Virga, accusato di essere il mandante dell’assassinio, ma ha assolto il secondo imputato, Vito Michele Mazara, considerato dall’accusa l’esecutore materiale.
Se da un lato, perciò, è stato confermato il carattere mafioso dell’omicidio, dall’altro rimane “l’amaro in bocca” perché, dopo trent’anni, non è stata ancora fatta piena luce.
Come ha detto Maddalena, la figlia, ricordarlo significa sottolineare il richiamo alla partecipazione, all’impegno diretto in prima persona, nella consapevolezza che le istituzioni possono e devono rispondere ai cittadini.
Per non dimenticare questa figura e farla conoscere ai più giovani, ripubblichiamo alcuni filmati che lo riguardano