Parola d’ordine, razionalizzare i servizi. Come? La razionalizzazione ideata dal nostro ministro consisterebbe nel garantire ai richiedenti asilo solo i servizi volti al sostentamento e alla tutela della salute e nel limitare i servizi per l’inclusione sociale (es. corsi di lingua italiana; corsi di formazione professionale) esclusivamente ai migranti già beneficiari di una forma di protezione, sia essa internazionale o umanitaria.
In altre parole, durante tutto l’iter procedurale necessario a valutare la domanda di protezione internazionale, che ad oggi dura in media 2 anni, i migranti avranno da mangiare e da dormire e poco più.
Una volta ottenuto un permesso di soggiorno definitivo, e dunque solo per il breve periodo in cui possono ancora rimanere nel sistema di accoglienza (una settimana appena o al massimo pochi mesi), potranno avere accesso a corsi di lingua italiana, di formazione professionale o ad altre attività volte a favorire la loro inclusione nel tessuto sociale dove vivono.
Quale migliore soluzione, dunque, per immettere nella società persone che conoscono pochissimo la lingua italiana, non hanno idea di come funzioni il mondo del lavoro italiano nè l’amministrazione pubblica con la quale dovranno fare i conti quotidianamente? Quale miglior incentivo a socializzare esclusivamente con i propri connazionali o ad affidarsi alle reti fluide e immediate di caporali e sfruttatori?
Non contento, il nostro ministro restringe ancora di più il cerchio delle persone che potranno usufruire di servizi di inclusione sociale: non soltanto tali servizi dovranno rivolgersi a chi è titolare di un permesso di soggiorno definitivo, ma queste persone devono anche avere la fortuna di vivere in un centro SPRAR, fiore all’occhiello del nostro sistema di accoglienza.
Tuttavia, il ministro forse non sa che questi centri dove i migranti, per legge, dovrebbero essere trasferiti nel più breve tempo possibile dopo il loro arrivo in Italia, ospitano di fatto solo il 20% dei richiedenti asilo e titolari di protezione.
La stragrande maggioranza di migranti è accolta invece nei centri di prima accoglienza o centri di accoglienza straordinaria dove gli standard dei servizi offerti sono molto inferiori rispetto a quelli previsti negli SPRAR….e che dovrebbero peggiorare ancora di più secondo il grande piano del signor Salvini.
Basterebbe conoscere minimamente il reale funzionamento del sistema di accoglienza in Italia per avere questo tipo di informazione e per capire, dunque, che una politica volta a rendere più efficace il nostro sistema di accoglienza dovrebbe puntare esattamente agli obiettivi opposti rispetto a quelli ideati dal ministro: potenziare i servizi offerti nei centri di prima accoglienza e di accoglienza straordinaria; o – perché no? – convertire tutti i centri di accoglienza straordinaria in centri SPRAR con conseguente modifica dei servizi offerti.
Il sistema di accoglienza dovrebbe mirare ad accelerare il superamento del periodo fisiologico di “adattamento” che ogni persona vive quando si trova in un nuovo paese, gettando così le basi per la formazione di futuri cittadini consapevoli, che siano in grado di contaminare costruttivamente la cultura e il territorio di nuova stabilizzazione con il proprio bagaglio socio-culturale.
Eppure l’impressione è che questa direttiva vada nella direzione opposta, senza tuttavia chiarire quale sia il risultato finale che possa essere di beneficio per l’intera collettività.
Per fortuna, la direttiva del Ministro Salvini non ha allo stato attuale forza di legge, rappresenta solo l’espressione di una chiara idea politica. Che speriamo non trovi mai concreta applicazione.
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