Una volta c’era pure una fontanella, ma dopo la ripavimentazione del quartiere è misteriosamente sparita.
Per sottolineare il degrado dell’area le normali operazioni di pulizia segnano il passo (in effetti, lo stesso avviene in tante altre zone), ma “quelli della panchina” la doteranno di raccoglitori.
Un tempo rappresentava il cuore della “zona rossa” catanese, vicino alla più famosa via delle Finanze, frequentata a tutte le ore da uomini, nel senso di maschi, alla ricerca del piacere a pagamento. Una ricerca, peraltro, legittima, perché socialmente condivisa.
Poi sono arrivate le forze dell’ordine, le espulsioni, la chiusura di tante case. Oggi è ancora attivo un piccolo gruppo di sex workers.
Fremono, invece, coloro che vorrebbero demolire e ricostruire, in una zona di valore, tra la City e il centro storico della movida.
Ovviamente, chi vuole demolire strilla quotidianamente contro il degrado e denuncia la presenza, in costante aumento, delle persone extracomunitarie, che occupano parte di quegli edifici sfitti, di molti dei quali è difficile individuare, a causa dei complicati processi ereditari, gli stessi proprietari.
Niente di nuovo, direte. Un film già visto, compresa la recente apparizione del nuovo Sindaco, a tutela di quella che un tempo veniva chiamata la maggioranza silenziosa, ora felicemente “twittante”, come dimostra quotidianamente il Ministro degli Interni.
Secondo il senso comune, dovresti avere paura ad arrivare in via Carro, devi attraversare un percorso pieno di “insidie”: sex workers davanti alle porte delle abitazioni, capannelli di persone extracomunitarie.
E, probabilmente, sarebbe stato così se, nel passato la LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS) non avesse aperto, in via Buda, un ‘drop in’ rivolto proprio alle/ai sex workers per garantire il diritto alla salute e all’informazione.
E se, successivamente, Babilonia, con sede in via Pistone, non avesse lavorato per connettere insieme le tante e diverse presenze nel quartiere, promuovendo, anche, significative iniziative culturali, come, per esempio, un festival della poesia in via delle Finanze.
Perciò, non solo non hai paura ad attraversare il quartiere, ma non rimani spiazzato se a giugno di pomeriggio in via Carro trovi decine di persone, “di tutti i colori” venute ad ascoltare Tindaro Bellinvia e Tania Poguish (autori di “Decolonizzare le migrazioni. Razzismo, confini, marginalità”), Salvo Torre che ne ha curato l’introduzione e Abdelfetah Mohamed (autore de “Le cicogne nere. Hidma. La mia fuga”, libro a cui Argo si è già interessato).
E ascolti parole di buon senso. Parole che rifiutano e denunciano un’accoglienza che non è tale, che demoliscono i luoghi comuni, che tanta paura provocano nel nostro Paese.
Ad esempio che raccogliere pomidoro per due euro l’ora non significa rubare il lavoro a qualcuno. Che non si può chiamare invasione una presenza di persone extracomunitarie che in Italia è tra le più basse in Europa. E non spiega perché se un giovane italiano emigra dimostra coraggio e intraprendenza mentre chi lo fa dal cosiddetto “terzo mondo” è solo un disperato. Nè perché un permesso di soggiorno non si possa rinnovare in maniera civile, senza essere costretti a file e procedure umilianti.
Ragionamenti complessi e articolati, contro chi vuole semplificare, per non risolvere i problemi e parlare “alla pancia” della popolazione.
Ma, soprattutto, via Carro dimostra che esiste un’alternativa possibile, che non c’è solo la contrapposizione amico/nemico, nemmeno nella versione “buonista” della tolleranza (sono io che tollero, quindi i miei valori sono preminenti).
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