La esprime un docente di Storia e Filosofia del Liceo Cutelli di Catania, Salvatore Distefano.
La pubblichiamo volentieri, anche perchè ripropone – in modo argomentato – la questione della memoria storica e del modo puntuale, e mai strumentale, con cui va alimentata.
La prima prova scritta dell’esame di Stato di quest’anno (da diciannove anni non è più esame di maturità!) ha ricevuto giudizi sostanzialmente positivi. Io, però, non sono del tutto d’accordo e voglio sinteticamente motivare il mio parere critico.
Ad esempio, mi è sembrata interessante la traccia riguardante l’analisi del testo (tipologia A), Giorgio Bassani “Il giardino dei Finzi-Contini”, e notevole quella concernente la tipologia D – tema di ordine generale – “Il principio dell’eguaglianza formale e sostanziale nella Costituzione”, sia per la formulazione, sia per il richiamo dell’articolo 3, che è uno dei più importanti della stessa Costituzione.
Ma in questo articolo, mi soffermerò sul tema storico – tipologia C – che presentava, a mio avviso, diverse inesattezze (sic!).
Infatti, il titolo era formulato in modo impreciso sul piano storico visto che la “distensione” veniva posta nel periodo di De Gasperi, che ha dominato la scena politica nazionale dalla fine del 1945 al 1954 – anno della sua morte – , e Moro, che invece ha affermato la sua centralità dall’inizio degli anni Sessanta – nascita del centro-sinistra – al 1978 – anno della sua uccisione da parte delle Brigate Rosse.
Peraltro, le riflessioni proposte, in questo caso quella di Alfredo Canavero “Alcide De Gasperi: cristiano, democratico, europeo”, erano molto discutibili visto che sosteneva la tesi che il dirigente democristiano “ [ …] aveva colto i primi segni del disgelo e della distensione”, che si sarebbero resi manifesti con l’elezione di Eisenhower alla presidenza degli Stati Uniti e poi “con la morte di Stalin il 5 marzo 1953. […]”.
Ora, non è chi non vede come le presidenze di Eisenhower (’52-’56; ’56 – ’60) siano state di segno ultra-conservatore, basti pensare alla politica fascistoide del maccartismo, e che solo con Kennedy si aprirono spiragli di cambiamento, la “nuova frontiera” e la lotta alla discriminazione razziale, conditi comunque con un feroce anticomunismo (crisi dei missili a Cuba 1962, Berlino 1963).
Ancora: la politica economico-sociale italiana era segnata dal liberismo aggressivo einaudiano (“sudore e lacrime”) e dalla feroce repressione scelbiana, che fu foriera di decine e decine di morti e di migliaia di arresti.
E poi Moro. Viene citato il suo discorso alla Conferenza di Helsinki (1975), che rappresenta una fase diversa rispetto alla distensione (lo ripeto: distensione – coesistenza pacifica è il periodo dei primi anni Sessanta prodotto dalla triangolazione Kennedy, Kruscev, Giovanni XXIII) perché è il tempo della crisi americana dopo la sconfitta in Viet-Nam (30 aprile 1975), la crisi del sistema capitalistico mondiale determinato da quella petrolifera e il nuovo ruolo dei paesi arabi, unito all’incapacità dell’URSS di rinnovarsi dopo l’invasione della Cecoslovacchia e la “vittoria” della stagnazione brezneviana, che la porterà alla sconfitta del 1991.
Peraltro, il discorso di Moro potrebbe essere letto, e non era facile capire le sue argomentazioni, in un’ottica di politica interna dato che Moro si era convinto della necessità di sbloccare la situazione italiana superando la “conventio ad excludendum” verso il PCI.
E come è noto Enrico Berlinguer alla fine di settembre del 1973, dopo il colpo di stato in Cile di Pinochet, aveva formulato su “Rinascita” la proposta del “compromesso storico”, proprio per risolvere “il caso italiano”, proposta che ebbe come interlocutore principale nella DC proprio Moro (pensiamo al macabro rituale brigatista di far ritrovare il suo corpo in Via Caetani, la strada romana che univa Piazza del Gesù e Via Delle Botteghe Oscure).
Conclusione: bisognerebbe stare più attenti alle tematiche, ma soprattutto credo che sia venuto il tempo di rilanciare l’insegnamento della Storia, evitando di semplificare, come avviene, purtroppo, sempre più spesso nelle aule scolastiche, processi che sono per loro natura complessi e articolati.
Una necessaria correzione di rotta, nella consapevolezza che è sicuramente sbagliato contrapporre conoscenza dei contenuti e metodi di lavoro; una corretta metodologia, infatti, si rivela del tutto sterile se non è legata a una riflessione seria e puntuale.
Inutile ricordare che un popolo senza memoria precipita nel baratro dell’oblio.
Un’ultima considerazione: anche sul “Corriere della Sera” di giovedì 21 giugno, veniva espressa da Antonio Carioti una critica alla formulazione del tema storico e in particolare alla questione della “distensione”.
Questo è consolante perché vuol dire che è possibile non assistere passivamente a un uso distorto della Storia; anzi, occorre un nuovo impegno per ridare centralità a questa disciplina.
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