Partirono anche dalla Sicilia i cosiddetti “treni della felicità”, i convogli che, nell’immediato secondo dopoguerra, trasportarono circa 70.000 bambini per darli in affidamento a centinaia di famiglie di lavoratori del Centro e del Nord.
Si tratta di una pagina di storia italiana, poco conosciuta, che racconta un bell’esempio di autentica solidarietà umana e civile tra il Nord e il Sud d’Italia, dove si trovavano alcune delle regioni più devastate e disastrate del paese.
A chiamarli “treni della felicità” fu il sindaco di Modena Alfeo Corassori, ad organizzarli furono i Gruppi di difesa delle donne nati dalla lotta partigiana, la nascente U.D.I (unione donne italiane) in coordinamento con il PCI dal 1945 al 1948.
Ma a chi venne l’idea di portare questi bambini, vittime della guerra nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale ? A Dina Ermini, una militante del P.C.I che un giorno denunciò alla federazione di Milano la presenza di molti bambini poveri a Milano. Teresa Noce (partigiana, combattente nella guerra civile spagnola) le disse di rivolgersi ai compagni dell’Emilia Romagna e chiedere loro se potevano ospitarli.
Ottenuta una risposta affermativa nell’autunno del 1945 da Milano partirono i primi 2.000 bambini per l’Emilia; seguirono nel gennaio 1946 i bambini di Roma, nel febbraio quelli di Cassino (uno dei territori più devastati dai bombardamenti alleati), a dicembre i guaglioni napoletani e nel 1947/48 i ragazzini siciliani.
Ad ospitarli le famiglie di lavoratori emiliane-romagnole, marchigiane, toscane e liguri organizzate in una rete di “Comitati per la salvezza dell’infanzia”: gente non ricca ma con una forte tradizione all’accoglienza e un forte afflato umanitario, che diedero a questi bambini assistenza amorevole e non beneficenza.
Una delle spedizioni più importanti fu quella organizzata dal “Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli” che dal Natale 1946 all’estate 1947 portò dodicimila bambini napoletani verso le famiglie del Centro che si erano offerte di ospitarli: questi bambini venivano individuati, ripuliti, vaccinati, rifocillati, accompagnati da schede di riconoscimento, dotati di indumenti, cappotti (per lo più forniti dalla Croce Rossa).
Spesso i genitori che li accompagnavano alla stazione toglievano ai bambini questi cappotti perché a casa avevano altri figli da vestire, poi li facevano salire su quei treni lunghi, lunghi perchè fossero ospitati dalle famiglie del centro nord.
Giunti là trovavano un clima diverso (la neve a questi ragazzini sembrò ricotta), una lingua strana (sembrava russo), un cibo insolito (le polpette o la cioccolata), ma un grande calore umano.
Molti di questi ragazzi si affezionarono alle famiglie ospitanti, alcuni addirittura ritornarono per restare, come raccontano lo storico Giovanni Rinaldi nel libro “Storie di bambini in viaggio tra due Italie”, Ediesse 2009 e il regista Alessandro Piva nel documentario “Pasta nera”, Italia 2011. Hanno interrogato i diretti protagonisti e hanno ricostruito con loro questi viaggi, riportando le loro testimonianze.
Tuttavia queste iniziative avevano suscitato una certa diffidenza, soprattutto da parte dei cattolici, perché organizzate dai comunisti che nell’immaginario collettivo tagliavano le mani e si mangiavano i bambini.
Ma ben presto questi timori svanirono: lo testimonia la Pachiochia , una donna capopolo di intransigente fede monarchica che, appurata la natura benefica dell’iniziativa dei treni della felicità, mutò completamente atteggiamento e si offrì essa stessa per collaborare attivamente con gli organizzatori.
I treni della libertà furono utilizzati anche in successive situazioni di emergenza: nel 1951/52 per i bambini del Polesine alluvionato; nel 1950 per lo sciopero di San Severo (Foggia) che portò all’arresto di 184 persone, tra cui molte donne costrette a lasciare i propri figli, che vennero temporaneamente “adottati” da famiglie del centro-nord Italia.
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Sarebbe bello se questa bellissima esperienza di oltre sessanta anni fa’ venisse riproposta oggi, con i bambini dell’immigrazione – che in gran parte,credo, rimangono nelle regioni meridionali – molti dei quali perché non accompagnati da genitori o parenti prossimi, ma forse è solo una utopia .
Esperienza bellissima,io stesso ho partecipato,presso una famiglia di Modena,ero in campagna e ricordo la neve che non avevo mai visto a Napoli,il proprietario,mi compro una piccola pala e al mattino liberavo il portone per farlo uscire con il cavallo e la carretta,per me era uno spasso,la permanenza duro 3-4 mesi,poi rientrai a Napoli,presso un’altra famiglia c’era un mio cugino,che rimase li non avendo figli la famiglia che l’ospito’ e li è rimasto per tutta la vita. Luigi Sen. Manna
In pratica, Viola Ardone ha copiato da queste fonti senza citarle, nomi e nomignoli compresi? E come mai il caso non è mai stato sollevato da nessuno?
Giovanni Altomonte, l’Italia è quel paese in cui si denuncia sempre l’omertà degli altri e non si toccano mai i potenti, da cui si dipende, in un modo o nell’altro. Ma il tempo poi sistema le cose.