Una Villa di età tardo romana in contrada Gerace di Enna, circa 15 km a nord dalla Villa del Casale di Piazza Armerina, rispetto alla quale, pur essendo meno ricca ed estesa, presenta delle peculiarità originali.
Della campagna di scavi che la sta riportando alla luce ha parlato, nel corso di una conferenza organizzata dalla Soprintendenza nei locali del Teatro Antico di Catania, Roger J. A. Wilson, docente di archeologia presso il centro studi sulla Sicilia antica della University of British Columbia di Vancouver.
Suggestivo il contesto in cui si è svolto l’evento, poco numeroso e costituto per lo più da addetti ai lavori il pubblico, anche a causa di una scarsa pubblicizzazione.
Mancava la ‘città’, mancavano i giovani, erano assenti gli interlocutori più preziosi, coloro che dovrebbero imparare a conoscere ed apprezzare quel patrimonio artistico e archeologico che rende unica la nostra isola e di cui dovremmo essere i primi orgogliosi fruitori. E che dovremmo valorizzare, in modo rispettoso e intelligente, perchè anche gli altri possano goderne.
I primi ritrovamenti della Villa di Gerace risalgono al 1994, quando alcuni scavi condotti da Carmela Bonanno della Sopraintendenza di Enna, permisero di rintracciare muri e resti di mosaici di epoca romana.
Gli scavi furono poi interrotti e ripresi più volte, dal 2013 ad opera di Wilson, e sono ancora in corso presso un caseggiato formato da piccole masserie private circondate da un mandorleto.
Sono stati rinvenuti, inoltre, resti di fornaci di varie dimensioni, una cisterna per l’approvvigionamento idrico e l’horreum, un magazzino per la conservazione delle derrate alimentari. Su una collinetta che domina il complesso è emerso un piccolo edificio termale decorato con mosaici pavimentali e marmi policromi di almeno 15 tipi diversi, tutti di provenienza estera.
Wilson, sulla base di numerosi elementi costruttivi e strutturali, ha ipotizzato che, nelle vicinanze di questo complesso edilizio incompleto, possa esistere, sepolta, un’altra Villa ben più importante. E sulla base di questa ipotesi è riuscito a farsi finanziare un’ulteriore fase di ricerca.
Inusuale e sorprendente il fatto che, grazie al ritrovamento di bolli laterizi e monogrammi sulle tegole, sia stato possibile risalire al nome del proprietario o, quanto meno, ad una caratteristica che lo rendeva ben distinguibile.
I bolli raffigurano, infatti, un cavallo, foglie di alloro e una corona e fanno ipotizzare il commercio di cavalli destinati ai giochi e gare nei circhi romani. I monogrammi contengono le lettere P, H, I. L e, almeno in un mosaico del pavimento, ricorre per intero il nome PHILIPPIANUS, “amico dei cavalli”.
Si può ipotizzare che il proprietario avesse un allevamento di cavalli, ipotesi confermata dal ritrovamento di numerose ossa equine, anche di puledri.
Nella zona del magazzino sono stati ritrovati anche numerosi semi di diversa natura, grano, orzo, fave, lenticchie. L’insieme di tutti questi elementi, cavalli, semi, fornaci, prodotti fittili, fanno supporre che Filippiano producesse e commerciasse a vari livelli.
Anche la presenza di resti di anfore con vino di Samo e Gaza, suggerisce una vivacità di scambi commerciali piuttosto intensa.
Intorno al 364 d.c. parti della Villa crollarono, forse a causa di un terremoto di cui però non si hanno testimonianze certe. Dopo un periodo di abbandono, il sito fu abitato di nuovo in epoca bizantina.
Maria Costanza Lentini, direttore del Polo Regionale di Catania per i Siti culturali, ha sottolineato – nel suo intervento conclusivo – l’approccio multidisciplinare adottato da Wilson che si è avvalso della collaborazione di un archeobotanico, di un archeozoologo e di altri specialisti.
E’ stato così fornito un nuovo tassello che arricchisce il panorama socioeconomico della Sicilia romana da cui arrivava non solo gran parte del grano necessario all’Urbe ma anche legname e prodotti di varia natura.
link alla pubblicazione: UBC Excavations of the Roman villa at Gerace, Sicily:
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