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Il ciclismo non discrimina, il Giro di Italia non parta da Gerusalemme

Da un lato la “marcia del ritorno” del popolo palestinese che toccherà tutti i territori sotto occupazione israeliana da oltre cinquanta anni, che è costata il 30 marzo 16 morti e il ferimento di migliaia di palestinesi, sotto il fuoco dell’esercito israeliano.
Dall’altro un evento sportivo, il Giro di Italia, una delle corse ciclistiche più importanti del mondo, che, quest’anno, partirà da Gerusalemme.
Da un lato il 70° anniversario della fondazione dello stato di Israele, dall’altro quello della Naqba (la catastrofe araba).
Al di là del fatto che per far partire il Giro da Gerusalemme pare siano stati offerti agli organizzatori circa 16 milioni di euro, non sfugge a nessuno il carattere politico-propagandistico di una tale decisione.
A partire dalla scelta di Gerusalemme. Città simbolo delle più importanti religioni monoteiste, proclamata unilateralmente “unita e indivisa” dal parlamento israeliano, con una legge che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (risoluzione 478) definì nulla, priva di validità e un ostacolo per la pace in medio oriente.
Ci sono, perciò, più che valide ragioni, per tutti coloro che vorrebbero una normale e pacifica convivenza di due popoli in due stati, per essere preoccupati dalle conseguenze di una scelta che, solo ipocritamente, può definirsi sportiva.
Di una scelta che chiude gli occhi di fronte alle continue violazioni dei diritti umani subite dal popolo palestinese, anche attraverso demolizioni di case ed espulsioni forzate. Come nel caso di dozzine di città beduine palestinesi che si vedono rifiutate il riconoscimento e i servizi di base e sono sottoposte a continue demolizioni.
Per questi motivi, a livello internazionale, si sta sviluppando una significativa mobilitazione perché l’inizio della corsa sia spostato in un altro Paese.
Quanto sia importante per Israele un tale “palcoscenico” mondiale lo dimostrano, anche, le proteste del governo di Tel Aviv nei confronti degli organizzatori italiani che, in un primo momento, avevano indicato Gerusalemme Ovest come partenza della prima tappa.
Una definizione inaccettabile per gli israeliani che, come si è detto, considerano “loro” l’intera Città, in ciò recentemente “aiutati” dalla promessa di Trump di spostare proprio a Gerusalemme l’ambasciata statunitense. Inutile dire che gli organizzatori hanno subito rimediato “all’errore”.
La prima tappa del Giro “italiano” partirà da Catania, le proteste, invece, sono già iniziate. Coloro che contestano tale scelta, infatti, non sono disposti a far passare il tutto sotto silenzio.
Convinti che, giustamente, Il Giro d’Italia non avrebbe preso in considerazione la possibilità di iniziare una corsa nel Sudafrica dell’apartheid negli anni 80, non accettano una politica dei due pesi e delle due misure.
A livello siciliano, un cartello ampio di associazioni, movimenti, singole personalità, dopo aver rilanciato la richiesta a RCS – La Gazzetta dello Sport di spostare la partenza (provando a far condividere una tale richiesta anche da personaggi sportivi di un certo peso), vuole coinvolgere l’opinione pubblica attraverso il boicottaggio delle trasmissioni televisive e l’organizzazione di concrete iniziative di protesta durante lo svolgimento delle tappe italiane.
In sostanza, se il governo israeliano vuole utilizzare lo sport per nascondere ciò che accade in medio oriente, sarà compito di chi vuole la pace (ricordate Owens a Berlino?) riaffermare che sport e discriminazioni dovrebbero essere incompatibili.

Argo

View Comments

  • Assurdissimo che il giro"d'Italia" parta da Gerusalemme!
    Non lo capirò, e quindi non lo accetterò, MAI!
    O, forse che sarebbe Gerusalemme "Italiana"?
    O, per caso,
    che l'Italia sia diventata, a nostra insaputa, israeliana?
    Mah!

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