Coloro che hanno a cuore le sorti della Palestina sono già a conoscenza delle clamorose violazioni dei diritti umani da parte del governo israeliano, che ha instaurato un vero e proprio regime di “apartheid” a danno dei Palestinesi, con normative discriminatorie, che opprimono la vita delle persone in tutti i settori: dal lavoro alla salute, dall’educazione alla famiglia, dalla libertà di movimento a qualsiasi tipo di servizio pubblico.
Probabilmente pochi però sanno che, all’interno di questa cornice, già offensiva della dignità umana, a Hebron si vive un ulteriore ed ancor più umiliante paradosso: una colonizzazione israeliana all’interno della città!
Mentre insediamenti illegali di coloni israeliani, in barba a tutte le risoluzioni ONU contrarie, continuano ad espandersi nei Territori Occupati, sottraendo sempre più terra alla popolazione residente, in questa città è stato addirittura realizzato un singolarissimo insediamento che la divide artificiosamente e drammaticamente in due parti separate.
Di questo si è parlato sabato 3 marzo, nella Sala della Camera del Lavoro CGIL, in via Crociferi, dove, organizzato dal movimento “Open Shuhada Street” (Aprite Shuhada Street) e da numerose altre associazioni con in testa AssoPace Palestina, si è svolto un incontro sulla particolare situazione di Hebron, importante città palestinese situata nella parte meridionale della Cisgiordania e rilevante centro commerciale e industriale.
Hanno raccontato l’incredibile vicenda di questa città due giovani palestinesi, Mohanad Qufaisha, responsabile della “Gioventù Contro gli Insediamenti” (YAS, Youth Against Settlements) e Abed Amro, videodocumentarista, mentre moderava, traduceva e conduceva l’incontro Luisa Morgantini, presidente di AssoPace Palestina, già vice-presidente del Parlamento Europeo.

Mohanad Qufaisha

Il numeroso e interessato pubblico che affollava la sala (alcune persone erano in piedi) con crescente meraviglia ha così ascoltato e rivissuto, attraverso le parole e le immagini proiettate dai giovani protagonisti, la paradossale e intollerabile quotidianità della vita dei cittadini palestinesi di Hebron.
Nel 1994 il colono israeliano Baruch Goldstein uccise 29 Palestinesi mentre di Venerdì pregavano nella moschea di Abramo, durante il Ramadan. Alcune centinaia di fondamentalisti israeliani occuparono con un colpo di mano un quartiere nel cuore della città, lungo Shuhada Street, una via principale. A protezione dei coloni, per difenderli dalle rappresaglie palestinesi, come è usuale nella strategia israeliana, fu inviato l’esercito.
Attualmente circa 1500 militari sono di stanza a Hebron per la “sicurezza” dei coloni, che sono di fatto rimasti là indefinitamente. Shuhada Street è stata interdetta ai Palestinesi (ma non ai coloni o ai turisti) e parte del mercato pubblico è stata chiusa, con le conseguenze che si possono immaginare: una città spaccata in due, gravi limitazioni della libertà di movimento, creazione di check-point con controlli umilianti, impoverimento commerciale.
I residenti palestinesi le cui case si affacciano su Shuhada Street possono uscire solo in modo più o meno avventuroso dal retro delle loro abitazioni o attraversando i tetti delle case vicine. Le vessazioni e il disprezzo dei coloni israeliani nei confronti dei cittadini palestinesi sono palpabili (e ben documentati da immagini).
Dai primi piani delle abitazioni dei coloni sovrastanti la parte di mercato palestinese ancora aperta vengono lanciati sulla strada sottostante sacchetti di spazzatura e ogni sorta di immondizia, tanto che una rete metallica è stata tesa da una parte all’altra della strada all’altezza del primo piano degli edifici, a protezione delle botteghe e dell’attività commerciale.
Nelle loro quotidiane provocazioni i fondamentalisti sono ben protetti dai soldati israeliani, che svolgono anch’essi la loro parte con ingiustificati arresti e detenzioni nei confronti di chi cerca di protestare.
Il risultato globale è una città fantasma, i cui cittadini sono gravemente penalizzati nello svolgimento della loro vita quotidiana e umiliati nella loro dignità.
La Gioventù Contro gli Insediamenti (YAS), rappresentata dai due giovani ospiti che in queste settimane hanno portato la loro testimonianza in diverse città italiane, guida il movimento denominato appunto “Open Shuhada Street”, che cerca di contrastare l’insediamento israeliano e l’occupazione militare attraverso i metodi della lotta popolare nonviolenta e della disobbedienza civile, e i cui obiettivi tendono ad una risoluzione del conflitto secondo principi conformi al diritto internazionale.
Come era da attendersi, non sono mancate dal pubblico espressioni di solidarietà e calore umano nei confronti di Mohanad, Abed e della popolazione palestinese.

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