I nostri ‘cervelli in fuga’ sono migranti, anche se non vengono etichettati come tali. Il migrante è per noi chi arriva nella ‘fortezza Europa‘ magari per finire schiavizzato nella raccolta dei pomodori.
Lo ha detto con forza Nicoletta Dentico di Banca Etica, già responsabile di Medici Senza Frontiere, relatrice all’incontro “Vite da salvare, Esperienze delle ONG nel mar Mediterraneo”, organizzato da Libera, Pax Christi e Banca Etica e moderato da Rosa Siciliano.
Appassionato l’intervento di Dentico che ha osservato come tutti noi non ci fermiamo a riflettere sul fatto che dai paesi africani o asiatici partono quasi sempre i migliori determinando un impoverimento ulteriore dei paesi di provenienza, quello delle risorse umane.
C’è un problema di linguaggio, ha ribadito, ad esempio non chiamiamo migranti i ricchi che si spostano verso i paradisi fiscali in un’epoca come la nostra in cui non è vero che i soldi non ci siano, perchè ce ne sono invece tanti, concentrati sempre più in poche mani grazie al diffondersi della “malattia della disuguaglianza”.
Eppure ci stupiamo che qualcuno voglia lasciare la guerra, la desertificazione, la fame dei paesi che noi stessi, l’Occidente, abbiamo depredato e deprediamo.
Non emergenza, ma fattore strutturale della società, la migrazione è presente anche nelle previsioni delle Nazioni Unite, che – ha ricordato la relatrice – parlano di 123 milioni di persone che saranno indotte a lasciare le proprie terre dalla desertificazione.
Pensiamo forse di fermarle con accodi come quelli con la Libia che mettono nelle mani dei trafficanti migliaia di vite umane e il potere di aprire e chiudere i ‘rubinetti’ delle partenze, gestite in modo da poterci chiedere altri soldi? Non stiamo forse dando milioni di dollari a quegli ‘scafisti’ che diciamo di voler combattere?
Purtroppo la nostra priorità – Dentico ne è convinta – non è la salvezza delle persone, sono gli interessi economici e finanziari, che si nascondono anche dietro molti progetti di cooperazione e dietro parole d’ordine come “aiutiamoli in casa loro”.
Un fenomeno complesso come la migrazione andrebbe governato e non subìto, ha detto nel suo intervento Simona Ragazzi, giudice penale del Tribunale di Catania, che si è occupata anche di tratta e di traffico di esseri umani, sottolineando come – al di là dello sbarco – andrebbe individuato anche un percorso serio di inclusione,
La relatrice ha quindi tratteggiato una breve storia degli interventi realizzati dalla magistratura nelle varie fasi del contrasto a ‘smuggling’ e ‘trafficking’, e ha ricordato che, fino al 2013, i migranti venivano trasportati su grandi navi che partivano da Egitto e Turchia.
Queste navi ‘madri’ navigavano in acque internazionali, scaricavano i migranti su navi ‘figlie’ più piccole quando si entrava in ‘territorio’ italiano e tornavano indietro eludendo la giurisdizione dello stato italiano e strumentalizzando le forze di soccorso (in particolare della Marina Militare Italiana) che portavano di fatto a termine l’ultimo segmento del trasporto.
Nell’agosto del 2013 cominciarono ad essere bloccate le navi in acque internazionali e ciò consentì di fermare, arrestare e condannare alcuni trafficanti sia per associazione a delinquere sia per omicidio volontario plurimo per la sorte riservata ai più ‘neri’, rinchiusi nella stiva e morti per soffocamento.
Le cose cambiarono con l’operazione Mare Nostrum che, oltre a stroncare il traffico illecito, era finalizzata al salvataggio in mare dei migranti. Per assicurare alla giustizia coloro che lucrano sul traffico illegale di migranti, le navi istituzionali avevano a bordo ufficiali di polizia giudiziaria che facevano le prime indagini.
La successiva fase, quella di Triton, riporta l’accento sulla sicurezza delle frontiere europee, anche perchè si aggiunge la preoccupazione per il terrorismo, mentre il fattore nuovo costituito dalla presenza in mare delle navi delle Organizzazioni Non Governative, sembra incentivare le partenze.
Altre cose erano intanto cambiate a causa della guerra civile in Libia e del mancato consolidamento di un’autorità costituita, in una situazione di forte competizione interna, di grande disponibilità di armi e di un diffuso clima di ‘adrenalina da guerra’. Per percorrere la rotta libica, infatti, non servono grandi navi, si usano i gommoni riempiti di migranti mandati allo sbaraglio e governati da scafisti occasionali e non dai veri trafficanti.
Ragionando sugli ostacoli che si frappongono all’efficacia del contrasto al traffico di esseri umani, Ragazzi ha evidenziato la mancanza di una politica europea unitaria e l’assenza di cooperazione da parte degli Stati di partenza dei migranti, che dovrebbero perseguire anch’essi i trafficanti. Tra questi l’Egitto, al quale l’Italia ha chiesto in passato, senza ottenerlo, l’arresto e l’estradizione di trafficanti identificati come responsabili di reati.
Alcuni paesi non hanno, d’altra parte, mai ratificato la Convenzione di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale o non hanno mai fatto le norme interne per renderla operante.
Anche l‘articolo 10 bis (Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato) del testo unico sull’immigrazione ha di fatto ostacolato i procedimenti giudiziari trasformando il migrante in un imputato.
Purtroppo la parte più debole del convegno è stata proprio quella relativa alle esperienze delle ONG nel Mar Mediterraneo. Su un tema così complesso, ci saremmo aspettai qualcosa di più della generica difesa del ruolo svolto dalle navi di queste organizzazioni, corredata dalla proiezione di alcune immagini da parte di Daniele Biella.
L’intervento di Suor Mary Anne Nwiboko e il video da lei proiettato, con cui si è aperta la serata, hanno confermato la forza della parola messa in musica pur senza apportare significativi approfondimenti di contenuto.
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