Se qualcuno avesse detto che Patrizia aveva fatto un “lavoro con le palle”, l’intera serata avrebbe perso di significato. Infatti, la presentazione del libro è stata un’importante occasione (il pubblico occupava quasi tutti i posti disponibili della Camera del Lavoro) per riflettere e fare il “punto”, a partire proprio dagli stereotipi, sui rapporti fra i generi.
Ha introdotto la discussione Goffredo D’Antona, avvocato, tra i promotori, nelle scorse settimane, a Catania, di una manifestazione contro il femminicidio con la quale si è voluta esprimere la vergogna degli uomini per la violenza subita dalle donne.
In premessa ha sottolineato come nel linguaggio quotidiano, e nel senso comune, quando si vuole insultare si utilizzano termini che colpiscono le donne (figlio di..), mentre, al contrario, definire una donna “maschiaccio” viene ritenuto un complimento.
Per non parlare della difficoltà nel declinare secondo il genere le stesse professioni. Non a caso maestra è accettato da tutti, mentre avvocata, ministra, ecc. trovano quasi insuperabili resistenze.
Ciò, però, che per il relatore è insopportabile, quando ci si trova davanti a una violenza, è il tentativo di rovesciare ruoli e responsabilità.
Graziella Priulla (per tanti anni docente universitaria di Sociologia dei processi culturali e comunicativi a Catania) ha premesso che nello scrivere il saggio è partita dalla constatazione dei tanti, troppi, stereotipi che sull’argomento dominano linguaggio e pensieri, anche tra le giovani generazioni. sui colpevoli
Proprio perché viviamo in un mondo che continua a essere visto con occhi maschili, per cui, ieri come oggi, la definizione di donna presente nei vocabolari rimane: femmina dell’uomo.
Mentre a scuola avvengono, anche, dialoghi come questo: ”Signora maestra, come si forma il femminile? ”/ “Partendo dal maschile: alla o finale si sostituisce semplicemente una a” / “Signora maestra, e il maschile come si forma?”/ “Il maschile non si forma, esiste”.
E se ieri (età giolittiana) il sistema elettorale poteva essere definito a suffragio universale nonostante le donne non potessero votare, oggi continua la separazione dei modelli di riferimento.
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E così in televisione troviamo le veline, le letterine e in alcuni libri delle scuole elementari la lettera c per le bambine è legata all’immagine di un cagnolino, per i bambini a quella di un cane.
E, più in generale, nei libri di scuola è stata operata una vera e propria cancellazione della presenza femminile.
Nelle stesse rilevazioni statistiche la donna che non lavora viene indicata come casalinga, il maschio è disoccupato.
Ed è l’aver introiettato tutto questo che, determinando processi di omologazione e standardizzazione, ha contribuito a creare un clima di violenza, quel clima che permette di definire uno schiaffo come una “carezza veloce”, che fa uccidere “per amore”.
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non è offensivo nè limitativo l'essere definite casalinghe.Per l'uomo , l'esere disoccupato lo relega nell'angolo della forza bruta. Il casalingo è più tenero e comprende meglio di un arrabbiato disoccupato.Il lavorto, nel gergo capitalistico, non nobilita. Lo schiavizza.