Questa imbarazzante situazione riapre vecchi interrogativi che riguardano la mafia, o le mafie, e la storia del nostro paese.
Una lettura sicuramente interessante del fenomeno mafioso è quella del napoletano Isaia Sales, docente di storia presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, il cui libro, “Storia dell’Italia mafiosa: perché le mafie hanno successo” (Rubettino Editore, 2015) è stato recentemente presentato agli studenti dell’Università di Catania nel corso dei laboratori d’Ateneo su ‘Donne e Mafia’, di cui Argo si è già occupato.
“Quando fenomeni criminali come le mafie durano tanto a lungo, ciò vuol dire che esse non sono riconducibili a storia criminale ma fanno parte a titolo pieno della storia italiana” afferma Sales, secondo cui la storia delle mafie è parte integrante della storia d’Italia.
Tra gli errori storici che Sales denuncia c’è quello di aver separato lo studio delle tre mafie, che sono, a suo parere un fenomeno unico. Tutte e tre sono nate nello stesso periodo storico (inizio ‘800), sotto lo stesso regime politico-istituzionale (borbonico), all’interno delle carceri e con uno stesso modo di operare, quello delle sette segrete come la Carboneria e la Massoneria.
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Il diritto di primogenitura spetta alla camorra napoletana, a partire dai termini utilizzati. La parola ‘pizzo’, ad esempio, che indicava il giaciglio che i camorristi davano a pagamento a quelli che arrivavano nelle carceri, oppure il termine ‘omertà’ che in dialetto napoletano significa umiltà ovvero obbedienza. E una delle regole delle società segrete era proprio l’obbedienza.
Anche i riti di iniziazione, come quello della ‘ndrangheta calabrese, sono ripresi da quello della camorra degli inizi dell’800.
Era dunque la camorra a fornire il modello, infatti nell’ottocento la mafia siciliana si chiamava camorra siciliana e la ‘ndrangheta calabrese fino agli anni ’20 del ‘900 si chiamava camorra calabrese. ‘Prendersi la camorra’, del resto, vuol dire prendersi con la forza una tassa, estorcere.
L’estorsione è una forma della statualità e la mafia ha forma statuale, sul modello delle classi dirigenti, innanzi tutto quello dei feudatari, che concentravano in sè il potere istituzionale, la ricchezza e l’amministrazione della giustizia, delegata loro dal sovrano dietro pagamento. E possiamo immaginare di quale giustizia si trattasse.
La mafia è quindi un fenomeno arcaico che assume un ruolo utile rispetto agli interessi dei potenti. Gli ordinamenti pre-statuali, come la mafia, non sono vincenti grazie alla violenza, ma per il modo in cui la violenza viene utilizzata in rapporto alle classi dirigenti.
La mafia è violenza di relazione, dice Sales, una violenza che si rapporta con altri interessi e che partecipa del potere.
Il successo delle mafie nasce dal non essere mai lontane o contrapposte alle élite. Se lo fossero state, sarebbero state annientate come lo furono i briganti, i pirati, i terroristi, i quali si contrapponevano allo Stato.
Questa relazione con le classi dirigenti, conclude Sales, è la base di tutta la storia delle mafie. Quando la nostra storia regionale s’interseca con quella nazionale, le mafie diventano utili ai fini degli equilibri politici dell’Italia, sia con la difesa del latifondo sia – a livello internazionale – con la lotta al comunismo.
Un pregiudizio da scardinare è l’interpretazione ‘culturalista’ delle mafie: Isaia Sales si interroga sul perché un così complesso problema storico dell’Italia venga confuso con la mentalità, con il modo di pensare.
Gli americani parlano di familismo amorale (Banfiels Edward, sociologo) proponendo una spiegazione ‘culturale’ dell’arretratezza meridionale.
Secondo questa interpretazione la mancanza di reazione alla miseria è dovuta alla presenza di un particolare ethos che faceva concentrare gli interessi, gli affetti, le attenzioni all’interno del proprio nucleo familiare di sangue, bloccando così qualsiasi azione collettiva per migliorare la situazione.
Smontando un pregiudizio sui siciliani imbelli e succubi, Sales ricorda il movimento dei contadini dei Fasci siciliani, il cui coraggio fu eroico, più di quello del movimento operaio della pianura padana.
E come dimenticare l’uccisione di 45 dirigenti sindacali nel secondo dopoguerra, di nessuno dei quali fu individuato l’assassino sebbene tutti sapessero chi li aveva uccisi?
Anche gli eroi civili del secondo dopoguerra sono tutti siciliani afferma Sales e ricorda Libero Grassi. Dunque è falso dire che i siciliani non hanno protestato o contestato.
L’omertà nasce dall’impunità: se un fenomeno criminale da 120 anni non viene represso, se dal 1861 al maxiprocesso ci sono stati solo 10 ergastoli a fronte di 20/ 30 mila delitti di origine mafiosa, questo è accaduto grazie ad una magistratura connivente.
E’ solo grazie alla scuola di massa, unica vera rivoluzione, che abbiamo avuto giudici come Borsellino e Falcone, che hanno davvero combattuto la mafia.
Tutti i magistrati prima di Falcone e Borsellino, ad esclusione di Chinnici, Costa e pochi altri, erano coinvolti negli interessi delle classi dirigenti.
L’impunità ai mafiosi è stata garantita dallo stato, da persone come il magistrato Lo Schiavo che aveva scritto “Un giorno in pretura”, da cui Pietro Germi trarrà il film “In Nome della legge”, nel quale la figura del mafioso incarna l’ordine.
La storia delle mafie non può e non deve essere letta, quindi, come storia criminale, perchè nessuna forma criminale può assumere il potere che hanno avuto le mafie, di certo non solo con il consenso popolare.
Ascolta l’intervento di Isaia Sales su radio Zammù
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