Boldrini, le brigantesse e la stampa

Una rapida visita al campo San Teodoro e all’ex palazzo di cemento, un incontro con rappresentanti delle associazioni e della Piattaforma per Librino, e con i bambini dell’orchestra di MusicaInsieme, discorsi sul ruolo della donne e dei giovani, e – naturalmente – sulle periferie, i luoghi da cui ripartire.
Così si è svolta la visita di Laura Boldrini a Librino. Oggi ve ne parliamo dal punto di vista di una ‘Brigantessa‘, una giovane giocatrice di rugby che ha incontrato la presidente della Camera e ci ha inviato le sue considerazioni.
Quanto segue è una riflessione personale e soggettiva che non deve essere attribuita ad altre Brigantesse, Briganti, o volontari del campo.
Quando ho saputo che sarebbe venuta Laura Boldrini a Librino a vedere il nostro campo, devo dire che la prima cosa che ho pensato è stata: ecco, un’altra operazione mediatica, l’ennesima passerella dei politici. Come quando, l’anno scorso, era andata a Pozzallo in occasione del festival Sabir, e gli abitanti del paese si erano lamentati perché per lei sì che avevano rifatto la strada su cui loro si rompevano gli ammortizzatori da anni.
Perciò non mi aspettavo niente di diverso. Non volevo illudermi.
Ma poi ci hanno detto che era stata lei ad esprimere personalmente il desiderio di vedere il campo, aggiungendo questa tappa  non prevista nel programma organizzato dal Comune.
Voleva soprattutto conoscere noi Brigantesse. Quanto al sindaco non sarebbe venuto a pavoneggiarsi per averci promesso un prato per un campo di cui poi aveva dimenticato l’esistenza.
E allora ci ho creduto. La terza carica più importante dello Stato vuole vedere il nostro campo, la nostra realtà, e così facendo riconosce il nostro operato, dà valore agli sforzi fatti per creare una realtà dal basso in cui crediamo.
E chi lo sa, magari vuole conoscere noi Brigantesse proprio perché siamo donne, come lei, che giocano a rugby, uno sport a lungo considerato unicamente per uomini (quando invece si dice che lo sport sia per tutti).
Avremo l’occasione di raccontarle del perché ci piace questo sport, di quanto è bello fidarsi delle proprie compagne di squadra, di come il numero di squadre femminili e di giocatrici in Sicilia nell’ultimo anno sia quasi raddoppiato, del fatto che il contatto e lo scontro fisico non fanno così paura, ma anzi ci insegnano a conoscere i limiti del nostro corpo, ad accettare il proprio peso e la propria statura: perché il rugby è davvero uno sport per tutti e per tutte le taglie, e non importa se sei alto, basso, magro o grasso, ci sarà sempre un ruolo per te nella squadra, e tutti i ruoli hanno pari importanza in partita.
E ancora avremo potuto farle vedere i murales, raccontarle del potere sociale e aggregativo del rugby, dell’impegno nelle scuole, dei ragazzini tolti alla strada e alla mafia, del fatto che Librino è solo un quartiere come ce ne sono tanti a Catania, dell’integrazione tra culture diverse, orientamenti politici diversi, nazionalità diverse…
E ci sarebbero state tante altre cose da fare, da dire e da raccontare. Ma Boldrini era sempre attorniata da giornalisti, che spingevano me e le mie compagne mentre le parlavamo, e il tempo era contato: “dobbiamo scappare, siamo già in ritardo”.
Siamo riuscite solo a dire quattro parole, a ironizzare sul fatto che “ci diamo un sacco di botte”, a farle sentire il nostro grido stretti in cerchio, maschi e femmine, Briganti e Brigantesse insieme.
L’illusione che stesse finalmente accadendo qualcosa di buono è caduta definitivamente quando la ‘presidentessa’ ha lanciato l’ovale all’interno del nostro cerchio (cosa che nel rugby non si usa), un lancio ripreso e mandato in onda al posto di tutte le parole dette in fretta e furia nel pochissimo tempo che ci era stato concesso.
Non credo personalmente – e forse con un po’ di ingenuità – che la sua visita sia stata fatta in mala fede e con la mera intenzione di fare passerella; ma quando esprimi il desiderio di conoscere una realtà così complessa non puoi pretendere di farlo in un’oretta scarsa e con uno stuolo di giornalisti al seguito che ti circondano, scavalcano, alla spasmodica ricerca dell’inquadratura giusta per la panoramica sul nostro campo di argilla, che d’estate è duro come la roccia e ci spacca le ginocchia mentre d’inverno è un lago.
Se volete conoscerci, ma per davvero, la prossima volta non prendete altri impegni, lasciate a casa la stampa, chiedete un incontro privato: per il lancio del bouquet ai giornalisti ci sarà tempo dopo.
Se lo farete vi racconteremo la nostra storia, vi spiegheremo come si gioca a rugby e perché è così importante per noi, vi faremo conoscere lo spirito del terzo tempo (birra inclusa), e i ragazzi e le ragazze che fanno il doposcuola, e le difficoltà in cui incappiamo ogni tanto, e di quello che abbiamo fatto, che facciamo e che faremo.
Perché per noi contano i fatti, non le parole.
Una Brigantessa

Argo

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