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Buona scuola e insegnanti in sciopero

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Contro le deleghe attuative della 107/15 (la legge sulla cosiddetta “Buona Scuola”), attualmente in discussione in Parlamento, i Cobas Scuola e tutti gli altri sindacati di base (Unicobas, USB, ANIEF, FederATA) hanno proclamato, per il 17 marzo, una giornata di sciopero generale. A Catania l’appuntamento è alle ore 9,30 in piazza Stesicoro.
Il no alle deleghe, secondo i promotori, è del tutto coerente con il rifiuto della 107, contro cui il 5 maggio del 2015 si espresse la stragrande maggioranza dei lavoratori della scuola e degli studenti.
Giorno 9, presso l’Istituto De Felice di Catania, oltre 300 fra docenti e ATA (assistenti amministrativi, tecnici e collaboratori scolastici) hanno partecipato al corso di aggiornamento/formazione su: “Scuola pubblica e funzione docente ai tempi della legge 107: prossimi decreti attuativi”, promosso dal CESP (Centro Studi per la Scuola Pubblica).
Va innanzitutto rilevata la straordinaria partecipazione, che ha costretto gli organizzatori a spostare l’evento dall’aula magna al cortile, perché tutti potessero seguire i lavori. Ma vanno, soprattutto, sottolineate l’attenzione, l’interesse e la preoccupazione che, evidentemente, attraversano il mondo della scuola.
Dopo l’introduzione di Teresa Modafferi (CESP Sicilia), Nino De Cristofaro (docente, Cobas Scuola),  ha ragionato sul rapporto fra i decreti e la legge in vigore e sullo stato dell’istruzione e della ricerca.
Ha, in particolare, sottolineato come le difficoltà culturali del Paese (pochi lettori di libri, diffusi fenomeni di analfabetismo di ritorno, preparazione sempre meno qualificata in scuole e università) invece di essere affrontate con attenzione e decisione siano agli ultimi posti dell’agenda politica, tanto che nei decreti attuativi è esplicitamente affermato “agli oneri derivanti si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo” previsto nella 107, al comma 202.
Il relatore si è poi soffermato su 6 degli 8 decreti in discussione.
Per quanto riguarda “Valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato” (384) ha rilevato il fatto che le prove standardizzate stanno prendendo il posto della valutazione dei docenti, con il conseguente e ovvio ridimensionamento del loro ruolo; tanto che la partecipazione ai quiz Invalsi è condizione necessaria per lo svolgimento, nella secondaria di primo e secondo grado, degli esami conclusivi.
Inoltre l’esame di stato (ex maturità) viene ulteriormente semplificato, e dequalificato, tanto che la discussione sulla cosiddetta tesina è sostituita da una relazione sulla alternanza scuola-lavoro.
Il “Sistema integrato di educazione e di istruzione da 0 a 6 anni” (380) rischia di abbassare notevolmente il livello della scuola dell’Infanzia pubblica (una delle migliori del mondo) trasformandola in un servizio di assistenza, senza di fatto garantirne la generalizzazione né la “gratuità” per le famiglie. Anche in questo caso, affidando la ricerca delle risorse soprattutto agli Enti Locali, che si trovano generalmente in difficoltà, sembra impossibile trovare i necessari investimenti.
La “Revisione dell’istruzione professionale e il raccordo con la formazione professionale”(379) punta a creare un segmento separato da Licei e Istituti Tecnici, caratterizzato da un forte addestramento al lavoro in concorrenza con la Formazione professionale regionale, riducendo ulteriormente la formazione di base. E’ addirittura prevista la possibilità di contratti di apprendistato sottopagati a partire dai 15 anni.

Il “Diritto allo studio e il potenziamento della carta dello studente” (381) è caratterizzato da vaghe petizioni di principio non suffragate da interventi diretti e da stanziamenti conseguenti, cosa che rende il richiamo al diritto allo studio, pura e vuota retorica.
Anche la “Promozione della cultura umanistica, la valorizzazione del patrimonio e il sostegno alla creatività” (382) appare caratterizzata dalla totale nebulosità riguardo alla reale attuazione di quanto previsto e dalla genericità di vaghe buone intenzioni .
Infine, la “Scuola italiana all’estero” (383) prevede peggiori condizioni di lavoro per i docenti (decurtazione del salario e nessuna incentivazione rispetto all’anzianità) e un sistema di reclutamento che avverrà attraverso un colloquio e non più mediante concorso pubblico.
Orazio Di Mauro (docente Boggio Lera, CT) ha affrontato il decreto su “Formazione iniziale e accesso ai ruoli di docente” (377). In primo luogo, ha sottolineato il relatore, per il futuro reclutamento i docenti già abilitati e/o con 36 mesi di servizio dovranno sottoporsi ad un nuovo concorso, mentre per i neo laureati è previsto un vero e proprio percorso ad ostacoli, compreso un contratto di tirocinio con lavoro sottopagato (per tutti i primi tre anni).
Questi ultimi dopo, 5 anni di laurea, vinto il concorso, dovranno seguire 3 anni di percorso formativo, una valutazione intermedia e una finale. Più precisamente, al termine del primo anno si è obbligati ad acquisire il diploma di specializzazione, al termine del secondo bisogna aver superato la valutazione intermedia e, al terzo anno, si deve superare una valutazione finale, nella quale si tiene conto delle competenze acquisite in relazione agli aspetti metodologico-didattici e relazionali.
Per essere gli insegnanti peggio pagati d’Europa, il percorso a ostacoli sembra francamente pretenzioso, anche perché, dai profili dei decreti attuativi, emerge l’immagine di un docente dalla funzione generica e indeterminata, somministratore di schede e prove standardizzate, naturalmente predisposte altrove.
Didier Pavone (docente Cannizzaro, CT) si è occupato di “Inclusione scolastica degli studenti con disabilità” (378). Il relatore ha innanzitutto sottolineato come il termine inclusione rappresenti un passo indietro rispetto alla logica dell’integrazione.
E che si vada indietro lo dimostra, anche, il fatto che in presenza di alunni diversamente abili si alza il numero di studenti per classe (dagli attuali 20 a 22) e si mira a ridurre il numero degli insegnanti di sostegno, introducendo corsi di “aggiornamento” improvvisati per tutti gli insegnanti, per delegare progressivamente tale attività all’intero personale docente. Inoltre, per passare dal sostegno al posto comune bisognerà aspettare 10 anni (rispetto ai 5 attuali) e anche dopo il Dirigente potrà discrezionalmente usare i docenti abilitati per ore di sostegno.
Per quanto riguarda il personale ATA che viene utilizzato in attività di assistenza e inclusione, la carenza di investimenti la dice lunga sull’importanza di qualificare una tale attività.
Infine, l’istituzione di un Gruppo per l’inclusione territoriale (GIT), esterno alle scuole e collegato all’USR, che si occupa della proposta di sostegno, individuando il fabbisogno e quantificando i posti necessari, sottraendo così tale compito alla scuola, è un ulteriore pericoloso segnale di una logica che tende sempre più a trattare in modo “medico” problematiche che dovrebbero avere, nella scuola, un’evidente e necessaria priorità educativa.

Argo

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