Dopo l’accantonamento del TTIP, il trattato fra UE ed USA contro il quale si è mobilitata l’opinione pubblica europea e, in parte, americana, molte delle sue inquietanti caratteristiche tornano infatti alla ribalta con il CETA, Comprehensive Economic and Trade Agreement, l’accordo transatlantico di libero scambio tra Canada e Unione Europea, di cui quasi nessuno parla.
Proprio oggi, 15 febbraio, l’assemblea plenaria del Parlamento Europeo dovrebbe esprimere il suo voto su questo trattato, l’ultimo passo dell’iter che consente la sua applicazione.
Il passo precedente è stato, il 24 gennaio, l’approvazione a maggioranza, nella commissione INTA (commercio internazionale), di una raccomandazione all’Assemblea plenaria perchè desse parere favorevole al trattato. Subito prima erano stati respinti gli emendamenti volti a sospendere il processo decisionale relativo.
Si tratta di una approvazione, non di una vera ratifica. Un procedimento in qualche modo anomalo, dovuto ad una delibera del Consiglio UE dopo una frenetica trattativa con il Belgio, la cui comunità vallone si era rifiutata di approvare il trattato. Oltre al Belgio anche Polonia, Austria e Germania si sono riservate la possibilità di recesso unilaterale.
Ad onta di quanto sperato da molti, che cioè la globalizzazione selvaggia di cui erano espressione il TTIP ed il suo gemello Trans Pacifico TTP sarebbe stata travolta con l’avvento del neoprotezionista e nazionalista Trump, ecco che questa riappare vispa e rinnovata con il CETA.
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In fondo non ci voleva molto a capire che le migliaia di multinazionali USA non avrebbero avuto difficoltà a utilizzare una consociata o una filiale in Canada e con quella aprirsi ampi spazi di manovra con il CETA, vero e proprio cavallo di Troia per il loro business in Europa.
Le grandi Corporation USA potranno così fare affari senza pagare dazio, è il caso di dire…, e senza che gli USA siano in qualche modo impegnati a garantire alcunché come corrispettivo. Ecco spiegate le ragioni del mancato crollo della Borsa USA, che tutti si attendevano a seguito dell’elezione di Trump alla Presidenza. Geniale.
Occorre dunque essere molto cauti prima di celebrare il funerale della globalizzazione, come qualcuno, particolarmente dopo la Brexit e l’elezione di Trump, potrebbe essere indotto a fare.
Il CETA, come già il TTIP, non prevede solo l’abolizione della quasi totalità dei dazi doganali sui beni scambiati fra Canada ed UE. Prevede soprattutto l’eliminazione di gran parte delle “barriere non tariffarie”, ovvero norme tecniche, standard e criteri di conformità dei diversi prodotti, di cui gli Stati nella loro discrezionalità politica si dotano, molti dei quali allo scopo di proteggere la salute, l’ambiente, i consumatori.
Quanto agli effetti economici per l’Europa, a fronte di dati di aumento del PIL da prefisso telefonico (0,012) sull’economia europea, si prevede, secondo studi della Commissione EU, un calo dell’occupazione di oltre 160.000 lavoratori europei, per effetto del trattato.
Secondo uno studio indipendente a seguito dell’approvazione del CETA si avrebbe una disoccupazione quasi raddoppiata, la compressione salariale ed anche una diminuzione del PIL. I diritti dei lavoratori saranno seriamente compromessi, mentre si moltiplicheranno le liberalizzazioni e privatizzazioni, senza la possibilità, in base alla normativa del trattato, del ritorno in mani pubbliche dei servizi di pubblica utilità (con esclusione, per adesso, dell’acqua).
Nel complesso, gli standard qualitativi degli alimenti e la protezione dei consumatori verranno certamente abbassati: così per le importazioni di prodotti agli OGM, o di carne agli ormoni, in palese contraddizione con il principio di precauzione, vanto della normativa europea. Gli Stati europei verranno poi sottoposti a forti pressioni per consentire l’uso di tecnologie ad alto rischio come il fracking, per l’estrazione del petrolio da sabbie e scisti bituminose.
Come già per il TTIP, anche per il CETA bisogna evidenziare l’assoluta opacità delle procedure e l’estrema difficoltà di accedere ai testi ed alla relativa documentazione, anche per gli stessi parlamentari europei. Un obbligo di riservatezza vincolorebbe comunque questi ultimi, obbligo disatteso – a quanto risulta – solo da pochi, senza che sia emersa in merito una qualche e doverosa forma di protesta.
Solo da poco è possibile accedere ad un testo a cura dell’Unione europea, un megafile in PDF di circa 1600 pagine, scritto solo in lingua inglese (che quindi i canadesi francofoni non possono leggere nella loro lingua madre) e senza indici.
Il voto odierno non costituisce, per il CETA, l’ultimo atto. Trattandosi di un Trattato che non rientra nella competenza esclusiva europea, dovrà essere approvato dai Parlamenti dei singoli Stati.
Proprio alcuni parlamentari italiani (Alessia Mosca, Davide Sassoli, Mercedes Bresso, ed altri), hanno presentato una mozione per consentire l’applicazione provvisoria del Trattato, in attesa della ratifica da parte dei singoli Stati, sia pure con l’esclusione della clausola ISDS, in quanto “chi si professa europeista convinto non può, allo stesso tempo, reclamare un potere di veto da parte dei Parlamenti nazionali”.
Ma che bravi! Se, come quasi tutti riconoscono, il principale problema dell’Unione europea è quello di un gigantesco deficit democratico, questa mozione rischia di avallare ulteriormente l’equazione ‘Europa uguale poca Democrazia’. Salvini, Le Pen, Farage, Alba dorata e tutti gli euroscettici ringraziano.
Come abbiamo già visto per il TTIP, l’ISDS (Investor State Dispute Settlement) è una clausola dalle conseguenze gravissime. Le imprese investitrici potranno fare causa direttamente agli Stati, nel caso ritenessero compromessi i loro profitti dalla normativa UE o dei singoli Stati europei, anche qualora venisse proibito l’utilizzo di tecnologie ad alto rischio.
Facciamo tirare le somme ad un costituzionalista catanese, Ettore Palazzolo, collaboratore di Argo:
“Se il Trattato CETA dovesse essere approvato e ratificato, avremmo una totale deregolamentazione che andrebbe ad incidere sulla tutela di diritti fondamentali, garantiti oltre che dai Trattati europei e dalle leggi nazionali, dalla nostra Carta costituzionale, quali il lavoro, l’ambiente, la salute, ecc.
La cosiddetta “abolizione delle barriere non tariffarie” non è altro che un’espressione retorica, che fa venire in mente la “neolingua” di orwelliana memoria, per indicare tale “deregulation”.
Particolarmente grave è poi la riproposizione della clausola ISDS, mediante la quale le imprese private possono citare in giudizio gli Stati, con richieste di altissimi risarcimenti, nel caso ritengano che una certa disciplina sia lesiva dei propri interessi non solo attuali, ma anche potenziali. E questo, non già davanti a giudici togati e terzi, ma davanti ad una Commissione di arbitri privati.
Anche se nell’ultima stesura del CETA, non si tratta più di Avvocati, scelti all’interno di un ristrettissimo elenco di Legali del commercio internazionale, ma di giudici, o ex Magistrati scelti pariteticamente dal Governo canadese e dai Governanti europei, si tratta pur sempre di Arbitri privati che dovranno giudicare se una certa normativa europea o nazionale, ispirata tendenzialmente alla tutela di un interesse pubblico (cioè dell’intera collettività), sia lesiva degli interessi di una determinata impresa privata.
Il parametro di valutazione rimane sempre lo stesso, essendo a loro preclusa l’applicazione di norme della Costituzione dello Stato nel quale è scaturita la controversia.
Se il Trattato CETA dovesse entrare in vigore, ci troveremmo ormai fuori dallo Stato Costituzionale e di diritto.
L’unica norma fondamentale, rispetto a cui tutte le altre (di tutela dell’ambiente, della salute, del lavoro, ecc.) debbono cedere è quella che sancisce il diritto dell’impresa al profitto sempre,
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E' spaventosa simile violenza dell'uomo sull'uomo che rischia di espandersi in tutto il mondo.