Noi vogliamo fare memoria di Fava giornalista, scrittore, pittore, con le parole che, nel 2002, gli hanno dedicato Pippo Pattavina e la rimpianta Mariella Lo Giudice. Si tratta delle introduzioni ad alcune “Letture” di brani delle sue opere, pubblicate negli Atti della giornata di studi organizzata in quell’anno dalla Facoltà di Lettere dell’Università di Catania.
Mariella Lo Giudice, Al di là dell’esibizione
La prima volta che incontrai Pippo Fava ero una ragazzina, mi colpì subito la sua immediatezza. Il suo entusiasmo, il suo rapporto ludico con la vita, a dispetto della sua età anagrafica.
Iniziai a recitare un suo testo a venti anni e fui subito attratta da quel suo linguaggio a volte schietto, duro, concreto, altre volte invece barocco, fantasioso, poetico, ma mai, in nessun caso, banale.
Aveva una capacità eccezionale di buttare giù pagine e pagine di dialoghi, al momento, magari per una richiesta di un regista insoddisfatto o di un attore non convinto del testo che avrebbe dovuto interpretare.
Chiunque avrebbe potuto vedervi una disconferma, una mancanza di stima, ma non lui che non sapeva cosa fosse la permalosità, la presunzione, e giù a scrivere fino a quando non si usciva da teatro tutti di buon umore per il risultato raggiunto.
La prima volta che dissi il monologo della vedova Rosalia Savoca, tratto da La violenza, fu ad un premio letterario. L’emozione, lo sconvolgimento che suscitò quel brano fu straordinario. Era come se ognuno degli spettatori avesse un coinvolgimento personale in una storia tanto tragica e straziante, e da allora è sempre così.
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Purtroppo da quando Pippo non c’è più questo brano ha assunto un valore che va al di là dell’esibizione e che, personalmente, mi sconvolge emotivamente; ma, nello stesso tempo, fare sentire ancora una volta la sua voce mi conforta e per un attimo mi illudo che è sempre lì in fondo alla sala con il suo sorriso ironico e la sua affettuosa presenza… e chissà che non ci sia davvero.
Pippo Pattavina, Giuseppe Fava, un paladino
Pippo Fava lo conoscevo come giornalista. Mi appassionavano i suoi articoli: lucidi, analitici, essenziali, scritti con un linguaggio scorrevole, chiaro. Andavano subito all’essenza degli argomenti trattati. Aveva il dono della sintesi, dell’immediatezza. Metteva il dito nella piaga dei nostri mali. Descriveva un’umanità sottomessa, sofferente, oppressa. Ti suggeriva, con le sue accuse, il modo per potersi riscattare.
Era un paladino. Non ti riusciva difficile immaginarlo, con in mano una bandiera, in testa ad un manipolo di persone che rivendica i propri diritti calpestati. Lo ammiravo.
Venni a conoscenza di una sua mostra di quadri presso il Club della Stampa di Catania. Pippo Fava pittore? Mi incuriosì quest’altra sua veste. Andai a visitare quella mostra. Scoprii un altro Pippo Fava, altrettanto interessante.
Il mondo che lui descriveva nei suoi articoli era là, in quelle opere, in quei personaggi impressi sulle tele: inquietanti, tragici, sottomessi, stanchi, pervasi da una sofferenza che viene da lontano. Una sofferenza che immagini non finirà mai. Ne rimasi affascinato! Mi venne spontanea una riflessione: “E’ uno scrittore che dipinge, o un pittore che scrive?”.
Qualche anno dopo ebbi la fortuna di conoscerlo personalmente in occasione della messa in scena di una sua opera dal titolo: Cronaca di un uomo. Fu un grande successo.
Da allora quasi con scadenza annuale lo Stabile metteva in cartellone le sue opere. Le ho recitate tutte o quasi: Bello bellissimo, Sinfonie d’amore, Opera buffa, Violenza, Foemina Ridens.
I suoi drammi descrivevano perfettamente il suo carattere passionale, combattivo, coraggioso. Era un puro, Pippo! Voleva combattere e combatteva con tutte le sue forze, attraverso i suoi scritti, contro i soprusi dei potenti, contro la corruzione dilagante, contro la burocrazia ottusa, contro la forza schiacciante del potere, contro gli abusi nei confronti dei poveri uomini, contro l’ingiustizia … combatteva il male!
Ma il male fu più forte di lui! Era necessario che un uomo siffatto non dovesse più nuocere! Troppe pentole venivano scoperchiate. Si correva il rischio che certi equilibri potessero spezzarsi. Bisognava zittire quella voce che si faceva sempre più alta, sempre più accusatoria… E fu ucciso!
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