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A 90 anni dalle leggi fascistissime, il dovere della memoria

“Il Governo è abbastanza forte per stroncare in pieno e definitivamente la sedizione dell’Aventino. L’Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa; gliela daremo con l’amore, se è possibile, o con la forza se sarà necessario”.
3 gennaio 1925, con queste parole Mussolini si assunse la responsabilità morale del delitto Matteotti, ucciso per aver denunciato, nel maggio dell’anno precedente, clamorosi brogli avvenuti nelle elezioni politiche. Tra la fine del 1925 e il 1926, a sancire la fine di ogni forma di democrazia in Italia, vennero emanate le cosiddette leggi fascistissime.
A 90 anni di distanza, su iniziativa dell’ANPPIA (Associazione Nazionale Perseguitati Politici taliani Antifascisti) e del Liceo Boggio Lera di Catania, nell’aula magna dell’Istituto, si è discusso di questo travagliato periodo storico.
Nunzio Famoso, docente dell’Università di Catania, ha preliminarmente descritto i problemi del primo dopoguerra, le difficoltà della ricostruzione, il forte conflitto sociale presente in Italia. E all’interno di un tale quadro l’evoluzione del movimento fascista.
Dal manifesto di S. Sepolcro dove venivano indicati come obiettivi: il suffragio universale e il voto alle donne, una magistratura indipendente dal potere esecutivo, la giornata di lavoro di otto ore, il disarmo generale, un’imposta straordinaria sul capitale, il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose; al legame con i grandi agrari e alle azioni squadriste contro i lavoratori in lotta e le loro organizzazioni.
Sino alla scelta del re Vittorio Emanuele III, nonostante la marcia su Roma e la richiesta di dichiarare contro i fascisti lo stato di assedio, di incaricare il futuro duce per la formazione del governo. Un primo governo che, vista l’esigua pattuglia di deputati fascisti presenti in Parlamento, vide anche la partecipazione di ministri popolari, nazionalisti e liberali.
Famoso ha poi descritto il clima di intolleranza e le persecuzioni subite dagli antifascisti, dagli assassinii, al carcere, all’esilio.
All’avvocato Antonio Pastore è toccato il compito di delineare il quadro giuridico-istituzionale determinatosi in seguito all’approvazione delle cosiddette leggi fascistissime.
Innanzitutto, fine dicembre 1925, cambiarono le attribuzioni e le prerogative del Presidente del Consiglio, responsabile solo nei confronti del capo dello Stato, mentre nel gennaio del 1926 il potere esecutivo poteva operare senza subire, sostanzialmente, reali controlli da parte delle assemblee legislative.
Un provvedimento, quest’ultimo, preceduto dalla nuova legge sulla libertà, si fa per dire, di stampa, secondo cui il direttore responsabile di un giornale doveva essere riconosciuto dal Procuratore generale presso la corte di appello e doveva essere persona non sgradita al governo.
Seguì, il 3 aprile 1926, la legge che proibiva lo sciopero e che dava ai soli sindacati legalmente riconosciuti (quelli fascisti) la possibilità di stipulare contratti collettivi. Nel 1928, infine, venne varata la nuova legge elettorale con la quale veniva proposta agli elettori una lista unica nazionale di candidati scelti dal Gran Consiglio del Fascismo, istituito nel 1923 quale organo supremo del Partito nazionale Fascista e divenuto, sempre nel 1928, organo costituzionale del regno.
Pastore ha poi ragionato più specificamente sulla nascita e sul ruolo del tribunale speciale per la difesa dello Stato, istituito nel 1926 per giudicare i reati contro la sicurezza dello stato e del regime.
Il relatore ha, innanzitutto, ricordato che furono comminate condanne per un totale di circa 28.000 anni, 42 a morte, e che su poco più di 5.500 imputati neanche mille furono assolti. In effetti, definirlo tribunale non risponde alle caratteristiche di questo organo: i giudici, infatti, erano alti ufficiali delle forze armate e della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e le sentenze, già scritte prima del dibattimento, erano inappellabili.
Il presidente nazionale dell’ANPPIA, Mario Tempesta, ha ricordato la storia della Associazione, nata “nel 1946 per volontà di coloro che furono perseguitati in vario modo dal regime fascista, dalla sua instaurazione fino alla sua caduta”.
Dalla sua nascita ad oggi, l’Associazione si è sempre riconosciuta “nei valori del’Antifascismo, indipendentemente dal partito politico in cui ogni socio iscritto si riconosce”.
L’Associazione, infatti, si definisce unitaria ed è aperta a tutti gli italiani che furono e sono antifascisti nelle loro convinzioni e nella loro condotta personale e a tutti i sinceri difensori della Costituzione repubblicana”.

Argo

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