“Trovai un posto libero vicino a una giovane coppia. I due mi parevano sani di mente, ma si baciavano sotto gli occhi di tutti, che imbarazzo. Era la prima volta che mi capitava una cosa del genere”. (Mohamed Ba, Il tempo dalla mia parte).
“Riace in Festival” 2016 ha ospitato, fra gli altri, questo autore che ha raccontato il tremendo percorso di chi approda a Lampedusa, dopo aver attraversato il deserto del Sahel e aver subito soprusi di ogni genere, per essere, infine, rinchiuso in luoghi eufemisticamente chiamati Centri di Accoglienza.
Riace in Festival “è una manifestazione nata sull’onda della politica di accoglienza e reinsediamento dei rifugiati e richiedenti asilo politico che l’amministrazione comunale del paese dei Bronzi sta attuando da anni.
Il Concorso Cinematografico vuole dare spazio a produzioni indipendenti legate ai temi delle migrazioni, della multiculturalità, del rapporto tra paesi ricchi e paesi poveri con una particolare attenzione a opere ambientate o riguardanti il bacino del Mediterraneo, luogo privilegiato di intreccio e confronto tra culture, lingue, religioni”.
Mirella Clausi e altre donne de La Città Felice di Catania e delle Città Vicine hanno partecipato all’iniziativa, all’interno della quale hanno proposto la mostra “Lampedusa porta della vita”.
Con Mirella abbiamo parlato dell’aria che si respira in questo comune particolare che da anni ha avviato un percorso assolutamente innovativo, coniugando l’accoglienza dei migranti con il rilancio del proprio territorio e dando l’immagine di una Calabria inedita, alternativa a quella delle cronache nere.
Non a caso il sindaco, Domenico Lucano, è stato indicato, unico italiano, nella top 50 di Fortune (una sorta di classifica dei ‘potenti’ del mondo), per aver trasformato l’emergenza sbarchi in una risorsa per rivitalizzare il paese dei Bronzi.
Secondo Mirella, la scelta dell’accoglienza ha fatto sì che alla straordinaria bellezza dei luoghi (innanzitutto quella del mare) corrisponda, ora, un insediamento umano che non la contraddice, anzi.
Ognuna/o, dai più piccoli ai più grandi, sembra sentirsi a casa propria, si muove/passeggia con assoluta naturalezza, diversamente da altre situazioni, dove si respirano chiusura e isolamento.
In sostanza, non ci sono tante diverse comunità costrette a stare le une accanto alle altre, ma un’unica comunità caratterizzata dai tanti tratti somatici e dai diversi colori della pelle.
Non si tratta, però, di un miracolo. Più semplicemente, utilizzando in maniera intelligente i “fondi europei”, e le altre risorse disponibili, l’amministrazione Lucano ha innescato un processo di sviluppo che ha impedito il progressivo svuotamento/declino della Città.
E, nel far questo, per esempio nei laboratori artigianali gestiti da donne, si è scelto di far lavorare insieme una “locale” e una “migrante”, creando legami solidi e duraturi, condivisione, potremmo dire, senza esagerare, “nuove famiglie”.
Così cucina calabrese e cucine “estere” si sono mischiate fra loro e il lavoro svolto non deve per forza essere sempre lo stesso, anche in questo caso c’è una positiva mobilità in rapporto alle esigenze della comunità.
In tale elogio della “normalità” non manca, ovviamente, la condivisione di feste e momenti ludici, a partire dalla scelta di festeggiare tutti insieme il capodanno.
Un’utopia concreta, in sostanza, che fa continuamente i conti con la realtà. Per esempio, visto che i pagamenti europei sono spesso in ritardo, si è scelto di coniare una moneta locale che permette di risolvere i bisogni interni della comunità, in attesa dell’arrivo degli euro.
Così come l’amministrazione ha assunto un forte impegno, dall’alto valore simbolico, ma anche concreto, per garantire un’autonoma e completa gestione pubblica dell’acqua, bene comune per eccellenza.
Come ha scritto il regista Wim Wenders: “Ho visto un paese capace di risolvere, attraverso l’accoglienza, non tanto il problema dei rifugiati, ma il proprio problema: quello di continuare a esistere, di non morire a causa dello spopolamento e dell’immigrazione”.
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