Piazza Stesicoro e la stazione, piazza della Repubblica, San Giovanni Li Cuti e soprattutto la Villa Bellini, con le sue panchine, il viale degli uomini illustri, dove molti incontri si svolgono sotto lo sguardo severo del naturalista Carlo Gemmelaro.
C’è Catania in questo centinaio di pagine in cui Salvatore Scalisi racconta l’avventura di Fabio, un uomo di 59 anni che, dopo aver perso il lavoro e -ancora prima- la moglie, deve rinunciare anche ad avere un tetto sulla testa.
Per fortuna ha ancora una macchina, non ha perso la salute e ha due figlie che lo rispettano e lo stimolano in positivo.
La sua avventura da homeless durerà molto più del previsto e lo trasformerà in uno dei tanti ‘senza fissa dimora‘ che trascorrono il loro tempo inseguendo le povere, e talora insane, opportunità offerte dalle organizzazioni assistenziali cittadine.
L’attesa dietro i cancelli della Caritas per avere un sacchetto colazione o pranzo, la fila – dalle 9 alle 12 – per fare una doccia dai Cavalieri della Mercede, altra coda per la cena alla mensa delle “Sorelle di Calcutta” o dei Salesiani.
E’ in queste lunghe file che Fabio incontra e seleziona, tra i senza dimora, i suoi nuovi amici. Da loro riceve indicazioni e avvertimenti, anche solo per evitare un mal di pancia dovuto a cibi non proprio freschi. Con loro condivide le speranze di trovare un lavoro, anche se non si capisce come e quando queste persone possano trovare il tempo e la concentrazione mentale per cercarlo.
Certo non contribuiscono le notti insonni trascorse in auto o nei dormitori rumorosi, sporchi, invasi da topi, da cui a volte si fugge per riposare sotto il cielo stellato.
Sono dormitori come Il Faro, convenzionato con il Comune, che però non paga facendo quindi chiudere la struttura. O lo stanzone-garage di via Plebiscito, collegato alla Locanda del Samaritano dei padri Vincenziani.
La speranza di uscirne e la voglia di non mollare danno a Fabio la forza per andare avanti nonostante la sfiducia che incombe. Il segnale più importante che non si considera del tutto perduto è la voglia di scrivere della sua attuale nuova vita.
Eppure Fabio sembra quasi un predestinato. E’ un uomo povero, senza arte né parte, non ha nessuna professionalità e nella sua vita precedente ha fatto il badante e lo “spurugghiafacenni”.
E’ partito da una posizione sociale sfavorevole, con poche opportunità, quasi dalle retrovie, e non è certo l’unico. Tra le persone senza soldi, senza istruzione e senza mestiere, talora senza famiglia, quasi sempre senza coscienza politica, l’espulsione verso il randagismo appare quasi normale, “tra le cose della vita”.
A maggior ragione in tempi in cui siamo tutti o quasi ‘Nelle Mani di Nessuno‘: giovani in cerca di lavoro, vecchi in cerca di assistenza e ‘intermedi’ in cerca di tutt’e due oltre che di compagnia.
Ma c’è di più. Il racconto di Fabio, uno spaccato del mondo e della quotidianità dei senza tetto, finisce per mettere all’indice le più note organizzazioni per l’assistenza che operano a Catania.
Le parole di Fabio sono dure e crude, descrivono i volontari come impiegati del Comune che forniscono una assistenza scadente, fredda, distratta e indifferente, a volte addirittura contraria alle premesse deontologiche a cui dovrebbero ispirarsi.
Le stesse organizzazioni sono mal gestite, deficitarie e inadempienti, oltre ai dormitori -di cui abbiamo già detto- sono di pessima qualità le mense, con conseguenze enteritiche, antiigieniche le cucine, poco accoglienti gli spazi comuni, “anomale” le docce.
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Stupisce tuttavia che il protagonista, che sembra coincidere con l’autore, non metta mai in discussione se stesso, non venga mai sfiorato da una introspezione critica.
Nessun riferimento, poi, alla situazione politica, per lo meno cittadina, nessun interrogativo sul perchè i servizi sociali siano assenti.
E ancora, nel racconto non appare nessuna donna “senza fissa dimora”. Davvero non ne esistono?
L’avventura descritta da Fabio, iniziata a Luglio, tra alti e bassi, dura fino a Novembre, allorchè due anime pie Carla e Tania, incontrate per virtù dello Spirito Santo alla Villa Bellini, sotto gli occhi inquisitori di Carlo Gemmellaro, sembrano offrirgli le soluzioni ai suoi problemi esistenziali, il lavoro e l’amore.
Ma forse è solo un sogno, a meno che la tragedia vissuta, anche se scampata, sia rimasta viva e radicata nella sua mente. “La temperatura è fredda, l’umidità entra nelle ossa, […] un morso al filoncino integrale. Ha inizio un nuovo giorno, uguale a tutti gli altri…” così si chiude il racconto.