Da oltre 10 anni l’Associazione è impegnata in Zimbabwe, più precisamente a Mutoko, presso l’ospedale Luisa Guidotti.
A raccontare quanto accade, e rispondere alle domande dei presenti, due medici: Luciano Nigro (presidente della LILA) e Chiara Frasca, da poco rientrati in Città.
Luciano Nigro, per il tempo trascorso e i compiti svolti nel territorio sudafricano, può essere considerato un testimone privilegiato.
E, infatti, prima di entrare nel merito della situazione sanitaria, si è interrogato su ciò che potrà avvenire nel momento in cui verrà meno l’ultranovantenne Mugabe (padre-padrone del Paese).
Quando, cioè, sarà molto difficile impedire che le contraddizioni oggi presenti esplodano drammaticamente. Contraddizioni antiche, perché dopo la liberazione e l’indipendenza non si è riusciti, soprattutto per quanto riguarda l’agricoltura, nonostante lo smantellamento delle grandi aziende condotte dai bianchi all’interno di un sistema schiavile, a far crescere una nuova rete di liberi produttori, in grado di rilanciare l’economia del Paese.
Così come è tuttora troppo larga (e tende, purtroppo, a crescere) la forbice fra i e la maggioranza della popolazione. E ancora, sono troppi i laureati dello Zimbabwe che emigrano nei territori vicini, dove ricevono salari decisamente più interessanti.
Un altro fattore di debolezza e spreco di importanti risorse che esaspera ulteriormente i problemi.
Ciononostante, visto che il progetto della LILA ha come obiettivo fondamentale la lotta alla diffusione dell’AIDS, da questo punto di vista emergono dati positivi.
Il numero delle persone affette dall’infezione da HIV negli ultimi dieci anni si è dimezzato (la prevalenza adesso è intorno al 12% rispetto al 27% dei primi anni del 2000) e, nonostante le difficoltà, i programmi di prevenzione raggiungono tutte le zone periferiche dello Zimbabwe grazie al coinvolgimento degli ambulatori pubblici presenti sul territorio (strutture che potremmo definire simili ai nostri Pronto Soccorsi, anche se in esse non sono presenti medici).
Infine, un positivo decentramento della terapia antiretrovirale, ha fatto in modo da rendere meno ingolfate, e più efficienti, le strutture ospedaliere. Da questo punto di vista alcune innovazioni introdotte al Guidotti si sono rivelate azzeccate, come per esempio la scelta di far spostare periodicamente un team di medici e infermieri nelle zone più periferiche per contattare e intervenire su quella parte della popolazione, impossibilitata, per distanze e mezzi, a recarsi presso le strutture sanitarie.
Un progetto che si è potuto realizzare grazie ai fondi raccolti dalla LILA Catania e che va ulteriormente potenziato.
Chiara ha premesso che un primo importante risultato è già stato raggiunto: al Luisa Guidotti, infatti, da almeno 8 anni non nascono più bambini affetti dall’infezione da HIV. Ciò è stato raggiunto testando tutte le donne gravide afferite all’ambulatorio, garantendo la terapia alle donne e trattando i bambini al momento del parto.
L’altro risultato, aumentare il numero delle donne che in gravidanza scelgono di essere seguite in ospedale, lo si sta raggiungendo grazie all’introduzione del programma pacchi spesa.
Da due anni, grazie ai fondi reperiti dalla LILA, alle donne, che frequentano regolarmente l’ospedale viene donato ad ogni controllo mensile un pacco spesa. Inizialmente, tutto questo ha riguardato solo le donne sieropositive, oggi è stato esteso a tutte le donne in stato di gravidanza. Il che ha fatto raddoppiare il numero dei parti in ospedale con conseguente riduzione dei parti a casa e della mortalità correlata.
Inoltre, questo meccanismo ha permesso un maggior coinvolgimento degli uomini, rendendo possibili interventi di prevenzione/educazione verso l’intero nucleo familiare.
A conclusione della serata Luciano Nigro ha ricordato che la LILA di Catania al Luisa Guidotti finanzia sia l’acquisto dei farmaci per la cura della patologie opportunistiche che quello di vitamine e integratori per le persone in trattamento antiretrovirale.
Un bilancio complesso, dunque, in una situazione sempre difficile, nella quale l’intervento del volontariato non risolve, certo, i problemi ma, contribuendo ad ottenere risultati positivi, stimola processi di cambiamento.
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