Cannabis, una terapia impossibile?

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Cristian, nel 2006, in seguito a un incidente stradale, era stato in coma per un lungo periodo. Il ritorno alla vita di tutti i giorni era stato particolarmente complicato, molti, troppi, segni del trauma persistevano, in particolare, rispetto ai problemi di deambulazione.
Per superarli, inizialmente la terapia prevedeva la somministrazione di oppiacei, successivamente, Cristian ha scoperto che gli stessi miglioramenti poteva ottenerli utilizzando la cannabis. Nel 2014 ha scalato il Gran Sasso.
Oggi, come ha testimoniato a Catania il 22 luglio, durante la presentazione di Bis Ter, associazione per la canapa terapeutica, l’uso costante della cannabis gli permette di vivere “normalmente”.
Tutto a posto, dunque? Assolutamente no, perché nonostante l’uso terapeutico della cannabis in Italia sia consentito per alcune patologie, ci sono molti ostacoli concreti. Bisogna seguire un iter burocratico piuttosto lungo e solo pochissimi pazienti con patologie gravi riescono ad avere il farmaco senza spese.
Il 90% deve anticipare alla ASL il denaro necessario all’importazione per una cura trimestrale, una somma di gran lunga superiore a uno stipendio medio italiano.
Cristian ha risolto il problema attraverso l’autoproduzione (che, però, nel nostro paese è illegale).
Giuseppe BrancatelliGiuseppe Brancatelli (presidente di Bis Ter), introducendo i lavori, ha sottolineato le evidenti incongruenze tra quadro legislativo e effettivo diritto alla cura.
Da qui la necessità di un impegno della società civile per superare tale contraddizione, aprire una riflessione più ampia all’interno della stessa comunità scientifica e stimolare la ricerca su una sostanza naturale (la cannabis) che, a causa del proibizionismo, è stata “demonizzata”.
Il tutto all’interno di un quadro normativo positivamente in evoluzione, a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale (12 febbraio 2014, n. 32) che ha dichiarato illegittima la legge Fini-Giovanardi (2006) che equipara droghe leggere e droghe pesanti.
Lo stesso parlamento italiano, per la prima volta, discuterà una proposta di legge (promossa da un fronte trasversale di oltre 220 deputati e senatori) sulla legalizzazione della cannabis.
Luciano NigroLuciano Nigro (medico e presidente di LILA di Catania) ha innanzitutto contestato il decreto del Ministero della Salute del 9 novembre 2015 (Funzioni di Organismo statale per la cannabis) che ha definito l’uso medico della cannabis un trattamento sintomatico di supporto ai trattamenti standard quando questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati.
Al contrario, l’uso della cannabis dovrebbe essere considerato una valida terapia, soprattutto quando i farmaci tradizionali provocano effetti secondari non tollerabili.
Impedire di scegliere il trattamento con cannabis da un lato nega un diritto inviolabile, dall’altro impedisce al medico di agire secondo scienza e coscienza, all’interno di un corretto rapporto con il paziente.
D’altronde, ha proseguito Nigro, non furono certo ragioni mediche quelle che portarono, gli USA nel 1937 – Marihuana Tax Act, e successivamente l’ONU (1961) a inserire la cannabis nella lista degli stupefacenti bloccando, conseguentemente, lo sviluppo di qualsiasi ricerca.

Lo stesso atteggiamento miope, frutto dalla logica proibizionista, è presente nel decreto nel momento in cui si limitano gli impieghi dalla cannabis per uso medico, escludendo molte patologie che in altri paesi (USA) sono invece espressamente indicate.
Un’associazione come Bis Ter, ha concluso, può stimolare, anche attraverso la richiesta di realizzare progetti scientifici “pilota”, una nuova riflessione contribuendo a determinare anche nuovi approcci professionali e un clima generale più tollerante che, laddove è stato praticato nel passato (Olanda, Manchester, Liverpool), ha contribuito a ridurre la diffusione delle cosiddette droghe pesanti.
Rita BernardiniRita Bernardini, ex deputata radicale e antiproibizionista, molta attenta, in particolare, a ciò che accade nelle carceri, partendo dalla propria esperienza ha sottolineato il fatto che migliaia e migliaia di detenuti sono ristretti per aver violato le disposizioni sulle cosiddette droghe leggere, sia per motivi terapeutici sia per usi ludico/ricreativi.
Uno spreco di professionalità (forze dell’ordine, magistrati, ecc.) e di risorse che vengono sottratte alla collettività e potrebbero essere meglio indirizzate.
Inoltre, come ha chiaramente affermato la Direzione nazionale antimafia (organo della Procura generale presso la Corte Suprema di Cassazione) la legalizzazione delle cosiddette droghe leggere assesterebbe un colpo significativo al narcotraffico e alle mafie che lo gestiscono.
La relatrice ha, infine, sottolineato come occorra sempre distinguere fra uso e abuso delle sostanze ed è perciò necessario pretendere buone campagne di informazione per permettere un uso consapevole di ogni tipo di sostanza, al di là di come ognuna di esse è attualmente classificata (legale o illegale).
Tutto ciò per evitare che, come accade oggi, l’abuso di sostanze legali determini tassi di malattia e mortalità inaccettabili (nel caso dell’abuso di alcol, per esempio, si calcola che ogni anno nel mondo muoiano per questo motivo oltre 3 milioni e mezzo di persone).
Alla fine della discussione (su Radio Radicale la registrazione integrale), l’impegno della neonata associazione di lanciare, a settembre, una campagna fra medici e farmacisti per garantire effettivamente il diritto all’uso terapeutico della cannabis e, a partire da questo impegno, l’apertura di un confronto pubblico su uso e abuso delle sostanze.

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