Queste sostanze sono rintracciabili in cosmetici, pesticidi e alcuni tipi di plastiche, vale a dire in oggetti di largo uso, attorno a cui ruotano interessi di miliardi di euro.
La regolamentazione di queste sostanze, con conseguente possibilità di restrizioni e divieti, interessa infatti larghi settori dell’industria, in particolare i produttori di pesticidi.
Non è un caso quindi che una ricerca sulle conseguenze socio-economiche di una loro regolamentazione venga tenuta nascosta come un segreto.
Accedere alle 250 pagine del documento è quasi impossibile. Nella stanza in cui è custodito possono entrare solo funzionari accreditati, portando con sé esclusivamente con carta e penna e lasciando fuori i cellulari: misure ancora più rigide di quelle previste per la consultazione dei documenti del TTIP.
Lo svela un articolo di Stéphane Horele, pubblicato da Le Monde e ripreso nel numero 1157 del settimanale Internazionale, di cui raccomandiamo la lettura.
Ma non viene applicato, in attesa che vengano individuati i criteri per distinguerli dalle altre sostanze chimiche.
I criteri dovevano essere formulati entro il 2013 e il ritardo è stato definito inaccettabile dal presidente del parlamento europeo e condannato dalla Corte di giustizia dell’Unione.
Si tratta di una questione di grande impatto, che ha diviso il mondo scientifico.
Mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce gli interferenti endocrini una “minaccia mondiale”, alcuni scienziati negano che essi abbiano effetti sulla salute e parlano di “prove scientifiche poco solide” e di precauzioni infondate.
Una loro delegazione ha incontrato il commissario europeo per la salute per metterlo sull’avviso nei confronti delle “convinzioni pseudo scientifiche” di alcuni loro colleghi sulla questione degli interferenti endocrini, per la cui regolamentazione sarebbero necessari – a loro parere – meno vincoli.
Chi ha ragione? E’ significativo che alcuni degli scienziati che minimizzano l’impatto di queste sostanze sulla salute siano legati al mondo dell’industria, come risulta da un’inchiesta dello stesso Stéphane Horele?
Nel frattempo la Svezia e altri paesi (tra cui non è presente l’Italia) hanno chiesto conto e ragione del ritardo nella definizione dei criteri relativi alla individuazione di queste sostanze e le autorità svedesi hanno ricordato alla Commissione Europea che è vietato usare considerazioni economiche nella loro definizione.
Le considerazioni economiche, se fossero oneste, dovrebbero comunque tenere conto non solo degli interessi dell’industria ma anche del ‘costo’ delle malattie contratte a causa dell’esposizione a queste sostanze. Non si tratta infatti di bruscolini visto che l’università di Utrecht parla di un costo che oscilla tra 157 e 288 miliardi l’anno.
Proprio in questi giorni la proposta finale sui famigerati criteri dovrebbe essere presentata al collegio dei commissari. Sapremo qualcosa di più?
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