Una foto vale più di mille parole, forse con questo intento è stata riproposta tempo fa alle Ciminiere la proiezione commentata sui terribili anni vissuti dalla città di Catania durante la seconda guerra mondiale.
Una ricostruzione curata, come già presso l’orto botanico,
Giambattista Condorelli delegato del Fai ed appassionato di storia, che ha voluto lasciare proprio alle immagini tutta la forza della narrazione.
Un modo per non dimenticare e mantenere vigile la memoria del recente passato, in particolare degli orrori e della devastazione patiti dalla popolazione catanese.
Le slide proiettate hanno mostrato quei luoghi in cui si possono rintracciare concrete testimonianze di quegli anni, innanzi tutto i rifugi antiaerei. Una trentina di rifugi collettivi pubblici, per la maggior parte ricavati da cave di sabbia rossa come nel caso di quelli, in prossimità della facoltà di Agraria, di via Cardì e di via Daniele.
Altri furono invece appositamente costruiti come quello del cortile interno del Liceo scientifico Boggiolera, realizzato in cemento armato con impianto elettrico e bagni.
Questi rifugi sono stati scoperti grazie all’interesse amatoriale dello speleologo Franco Politano, socio fondatore del Centro Speleologico Etneo (CSE) di Catania, che nella vita quotidiana lavora come elettricista.
A seguire, in questa carrellata di immagini, le casematte, i fortini, i bunker, i ricoveri, sparsi in vari punti della città: Monte Po, Motta S. Anastasia, i lidi della Plaja, Monte S. Paolillo, S. Francesco la Rena, il Fortino.
Significativi anche i manifesti sulle condizioni di vita quotidiana della popolazione: gli orari dell’oscuramento nella città, le tessere annonarie per il razionamento alimentare, la convivenza tra le truppe tedesche e popolazione.
A questo proposito all’inizio della II guerra mondiale, poco dopo l’arrivo in Sicilia del CAT, il corpo aereo tedesco che affiancava l’aereonautica italiana in tutto il Mediterraneo, a Catania cominciò ad uscire nel febbraio 1941 il quotidiano Der Adler vom Aetna (L’aquila sopra l’Etna) emanazione del quotidiano Il popolo di Sicilia, pubblicato in lingua tedesca e redatto da ufficiali e graduati di truppe tedesche, ma anche da alcuni giornalisti italiani.
Tra i documenti mostrati al pubblico le tante e dettagliate town planet in possesso degli alleati grazie al lavoro dello spionaggio indigeno. Gli anglo-americani erano informati non solo sui luoghi, ma anche sui nomi dei personaggi più importanti della città.
Quanto ai bombardamenti, le immagini mostrano un centro storico ricoperto di macerie con un consuntivo di circa 1000 morti tra l’aprile e il luglio 1943. A dare l’allarme dell’arrivo degli aerei nemici provvedevano i non vedenti in quanto dotati di un udito particolarmente affinato potenziato dall’aerofono.
Molti sfollavano dalla città verso i paesi dell’hinterland: nelle masserie e palmenti, come quello del Duca di Misterbianco, o in paesi limitrofi come Paternò do8ve però si consumò nel luglio 1943 una strage con 4.000 morti e 2.300 feriti.
Nella ricostruzione della storia militare ci si è soffermati sulle operazioni relative alla conquista del ponte Primosole alla piana di Catania e del ponte dei Malati a Lentini, dove oggi è possibile vedere due identiche lastre incassate con il cemento nel parapetto del ponte, per volere di Montgomery, con la scritta “N°3 Commando Bridge” in ricordo dell’eroica azione di questo corpo di militari. Lapidi sconosciute alla maggior parte dei siciliani.
La resa formale della città avvenne il 5 agosto 1943 al cospetto del podestà Antonino di San Giuliano.
Le autorità ecclesiastiche, preoccupate per il tesoro e le reliquie di S. Agata, avevano provveduto a nasconderle qualche mese prima della caduta della città.
Gli alleati inglesi avevano, infatti, fama di essere avidi di gioielli e oggetti preziosi. Si pensò di mettere al sicuro dai bombardamenti e da eventuali ladri e saccheggi sia il tesoro sia i preziosi reliquiari della Santa.
A questo provvide l’Arcivescovo Carmelo Patanè con i suoi collaboratori. Il tesoro finì a San Giovanni La Punta, prima nel seminario estivo e poi presso le Orsoline, mentre i reliquiari ed altri sacri oggetti preziosi finirono in una oscura cisterna, dietro la chiesa di Fleri.
A chiusura della proiezione, ecco la targa che ricorda, ai due obelischi, il capomanipolo Giuseppe Catanzaro, accusato ingiustamente di aver distrutto i mezzi bellici e abbandonato la postazione della Barriera di Catania dove militava. In verità aveva solo eseguito gli ordini che gli erano stati impartiti. Con un processo farsa venne condannato alla fucilazione il 15 giugno del 1943.