Eppure non ho potuto fare a meno, guardandola, di provare un sentimento profondo, particolare, che provo a sintetizzare, pur sapendo che userò un termine ‘equivoco’, dicendo che mi sono sentita potente”.
Questo intervento evidenzia con chiarezza temi e contradizioni che hanno segnato il dibattito sull’utero in affitto, proposto nelle scorse settimane da La Città Felice a Catania. Una cinquantina le persone presenti (in maggioranza donne), qualche volto giovane, molta voglia di discutere.
Un incontro propagandato con un’immagine decisamente forte: un codice a barre collocato su un pancione di una donna in stato di gravidanza e sul viso di un neonato. Un’immagine, quest’ultima, coerente con l’introduzione alla discussione proposta da Mirella Clausi, la quale, premettendo che il discorso contiene tante importanti sfaccettature e che non è in discussione la richiesta di leggi proibizionistiche, non ha “fatto sconti”.
Non è possibile trasformare i corpi delle donne in “macchine della riproduzione”.
In questo caso, infatti, non si sta parlando della libertà delle donne (non è questa la libertà femminile), del diritto a una libera sessualità (come quando il movimento femminista, per dirla con uno slogan, urlava nelle piazze l’utero è mio e lo gestisco io), ma si sta trasformando una possibilità (quella di diventare genitori) in un diritto che, peraltro, non tiene conto proprio dei diritti del bambino.
La relatrice ha, inoltre, invitato i presenti a interrogarsi su potenzialità e limiti delle ricerca.
Non solo, infatti, è sbagliato parlare di neutralità della scienza, ma è altrettanto discutibile l’idea che esistano processi lineari di “crescita scientifica” che devono essere acriticamente accettati.
Non in nome di una presunta sacralità della vita, ma, più semplicemente, perché dobbiamo essere noi a costruire il senso collettivo della nostra esistenza.
Infine, Mirella Clausi si è soffermata sulle problematiche relative alle adozioni, sottolineando come una migliore regolamentazione potrebbe rappresentare un modo concreto, e più umano, per rispondere, in parte, alle domande in campo.
La discussione successiva non è stata né rituale, né, tantomeno, scontata. Se la maggior parte degli intervenuti ha condiviso l’introduzione, alcuni hanno affermato che tutti i bambini sono “figli del mondo” e, quindi, è genitore chi se ne prende cura.
A parere dei più dietro un tale presunto dono (concepibile, forse, in rarissimi casi di forte relazione tra due donne) c’è soltanto la mercificazione economica della maternità.
Peraltro, niente di nuovo, vista la compravendita degli organi umani che, purtroppo, avviene in tante parti del mondo, e a vendere, ovviamente, sono sempre i più poveri.
Infine, è stato posto il problema del diritto alla genitorialità relativamente alle coppie omosessuali maschili. Anche in questo caso, si è provato a separare l’uguaglianza dei diritti che vale per tutte/i, a prescindere dall’orientamento sessuale, con la maternità surrogata.
Ovviamente, nessuna conclusione, se non l’impegno a riprendere e
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Naturalmente la questione è delicata, ma invito a riflettere sul fatto che se il problema è la mercificazione, allora basta fare una buona legge e i controlli necessari, come già si fa per la donazione degli organi, compreso il rene che si dona da vivi, appunto si dona.
Rimane anche il fatto che senza una legge che regolamenti la cosa, le coppie ricche lo andranno a fare all'estero, le coppie povere non lo faranno.