E’ alta l’attenzione mediatica riservata alle terre – le nostre – in cui i migranti sbarcano, quasi assente quella per le terre di esodo. Esordisce così Daniela Melfa, del Centro studi CoSMICA, introducendo la tavola rotonda, da lei presieduta con garbo e competenza, su Migrazioni e Territorio, svoltasi mercoledì 16 marzo all’Auditorim dei Benedettini.
Della Turchia, dove attualmente opera al confine con la Siria, ha parlato il giovane cooperante Giovanni Sciolto, sottolineando come -proprio per il suo ruolo di operatore umanitario– la sua ‘lente’ non può che essere neutrale, rivolta a cogliere i bisogni delle persone. Questo non significa che si tratti di un’ottica ingenua o semplicistica, come dimostra l’analisi da lui effettuata.
Sciolto definisce il conflitto siriano una ‘guerra multipolare‘, i cui protagonisti sono gli stati che hanno interessi economici e finanziari nel territorio, Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita, Iraq, Quatar, e la stessa Turchia che occupa in quello scacchiere una posizione particolare.
Tutte le armi spedite in Siria passano infatti dalla Turchia, che per un verso finanzia i gruppi antigovernativi ma, per l’altro, offre assistenza e basi logistiche alle forze della ‘coalizione’ e ospita di fatto i campi in cui vengono formati i ribelli.
La Turchia, d’altra parte, accoglie coloro che scappano per sfuggire alla violazione del diritto umanitario internazionale, di cui tutti i soggetti in campo sono responsabili. Non si tratta di piccole cifre, essendo due milioni e settecento mila i rifugiati registrati, oltre tre milioni quelli reali.
E, se da una parte l’Europa esercita pressioni sulla Turchia relativamente alla gestione degli sfollati, non è detto che abbia davvero intenzione di accoglierli e, soprattutto, di “smettere di ingaggiarsi in modo attivo in questo conflitto”.
Per l’Europa -prosegue Sciolto- i migranti sono ‘soggetti passivi‘, che possono essere spostati e ‘sistemati’ a piacere, e non persone che hanno la fermissima volontà di venire in Europa per godere di diritti che, nel loro territorio, non sono riconosciuti anche a causa degli interventi delle potenze internazionali.
Una visione che ben si accorda con quella di Elvira Iovino del Centro Astalli di Catania, secondo la quale i migranti “non vogliono assistenza, cercano un percorso che restituisca loro la dignità e li faccia sentire uomini come noi, con gli stessi diritti”.
Non sono “sacchi vuoti da riempire di cose”, sanno che c’è un paese che consente, o dovrebbe consentire, l’accesso alla salute e allo studio, e questo cercano.
Per loro, che vengono da guerre e torture, un percorso di accoglienza e integrazione, tuttavia, non c’è.
Al Centro Astalli, dopo l’esperienza dei siriani accolti al centro don Pino Puglisi e poi ripartiti, si rivolgono oggi soprattutto i migranti sub-sahariani, del Mali, del Gambia, del Corno d’Africa, e le donne somale. Tutti portatori di storie personali che consentirebbero di ottenere il diritto d’asilo.
Nessuno in genere esamina la loro situazione individuale, vengono catalogati come ‘migranti economici’ sulla base del paese di provenienza e ricevono spesso ingiunzioni di ‘respingimento differito’, che non vengono ottemperate e li lasciano letteralmente sulla strada, senza diritti e senza accesso ai servizi essenziali.
Eppure a casa non ci possono tornare senza rischiare lo sfruttamento più bestiale, la miseria più nera, l’incubo di dittature che noi occidentali contribuiamo a creare per difendere i nostri interessi.
Lasciati a se stessi diventano spesso preda dello sciacallaggio di loro connazionali che si trasformano in ‘caporali’ di bracciantato agricolo e che si fanno pagare di tutto, dal trasporto -ammucchiati su vecchie automobili – da Mineo a Catania alle semplici informazioni, dall’utilizzo delle schede telefoniche a quello dei documenti necessari per accedere alla Western Union.
Di ‘prostituzione dei diritti umani‘ ha parlato Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa, che considera la propria isola ‘abusata’ non dai migranti ma dai ‘poteri’ che -fino al 2011- hanno impedito il trasferimento verso altre mete dei maghrebini lì sbarcati, lasciandoli ammassati senza adeguate strutture e senza servizi in un’isola con neanche settemila abitanti, priva di ospedale e con carenti servizi per gli stessi lampedusani.
Oggi i servizi sanitari sono migliorati (es. ambulatorio materno-infantile) e di essi si giovano stranieri e locali.
Nicolini ricorda la ‘invasione’ inscenata perchè Berlusconi apparisse come il liberatore e la definizione di “esodo biblico” usata da Maroni per 25 mila rifugiati che, alla luce dei milioni di profughi attualmente presenti in Libano, Giordania, Turchia, appare una ‘corbelleria’.
Non risparmia i toni forti questa donna convinta e battagliera, e ribadisce che, a Lampedusa, nessuno ha paura di chi sbarca, neanche ora che viene alimentato dai media il timore dei terroristi, che non “sono arrivati certo a Parigi sui barconi”.
Gli abitanti dell’isola temono piuttosto le decisioni prese da Roma e Bruxelles, le politiche di chiusura prive di umanità e solidarietà, anche nei confronti dei cittadini che abitano la periferia d’Europa, come appunto Lampedusa.
I territori dimostrano un coraggio e un’energia che mancano nelle ‘alte’ decisioni politiche. Ma i politici che prendono le decisioni sono espressione della società che li elegge, ecco perchè tutti noi abbiamo una grande responsabilità, tutti possiamo fare qualcosa.
Non si limita quindi alle rimostranze, la sindaca, e suggerisce percorsi, come quando sottolinea l’importanza della cultura per gettare semi di umanità o propone l’applicazione di un modello più civile di accoglienza diffusa per vincere la logica emergenziale.
E se propone di garantire un ingresso sicuro ai profughi, lo fa con cognizione di causa, consapevole degli altissimi costi dei soccorsi in mare.
Della creazione di un canale umanitario parla anche Iovino, che ricorda l’esperienza del progetto-pilota per soggetti vulnerabili, finanziato con l’8 x mille della Chiesa Valdese e portato avanti dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e dalla Comunità di Sant’Egidio con la collaborazione delle autorità italiane.
Sono già sbarcati a Fiumicino i primi gruppi di famiglie provenienti dal Libano, ammesse con visto umanitario e con possibilità di presentare domanda di asilo. Altri trasferimenti, al riparo da rischi di morte e dallo sfruttamento dei trafficanti di uomini, sono previsti dal Marocco e dall’Etiopia.
Iovino ha ricordato anche la necessità di rifinanziare il fondo -ormai esaurito- per il “Ritorno volontario assistito” previsto per i migranti che vogliono tornare ai paesi di origine.
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