Abolire l’articolo 6 comma 17 del codice dell’Ambiente. Il 17 aprile decideremo, con il voto, se l’Italia è un paese “No Triv”. Infatti, attraverso un referendum, di cui si parla troppo poco, ci pronunceremo sulla possibilità per le piattaforme collocate entro 12 miglia dalla costa (circa 22 km) di continuare, dopo la scadenza del contratto, le trivellazioni fino al completo esaurimento del giacimento.
Il 30 settembre del 2015, 10 regioni italiane, in sinergia con molte associazioni della società civile, avevano proposto sei quesiti referendari sulla ricerca e l’estrazione degli idrocarburi in Italia.
La Corte di Cassazione, alla luce delle modifiche effettuate dal governo a fine dicembre 2015 su quei temi, ne ha ritenuto ammissibile solo uno, in quanto gli altri sarebbero stati recepiti dalla legge di stabilità.
Una decisione contestata da diversi consigli regionali che accusano il governo di aver legiferato su una materia di competenza delle regioni, anche se -lo scorso 9 marzo- la Consulta ha dichiarato inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promossi dalle Regioni.
Rispetto al voto del 17 aprile è, però, prioritario interrogarci sull’opportunità di continuare a fare “pirtusi “ nei nostri mari.
Ovvero causare gravi devastazioni all’ambiente e distruggere altre più pregiate risorse per il profitto esclusivo (attualmente, per fortuna, ridotto o azzerato dal calo dei prezzi del petrolio) della lobby petrolifera.
Per non parlare dei rischi di disastri, molto rilevanti nell’area del Mediterraneo, anche perchè nessuno degli stati che vi si affacciano è attrezzato per farvi fronte.
Votare sì significa, anche, contestare le scelte dello “sblocca Italia” che hanno trasformato le attività di prospezione, ricerca, e coltivazione degli idrocarburi in ‘Progetti sperimentali di coltivazione’.
Si potrebbe obiettare che gli evidenti danni ambientali sarebbero “compensati” dall’acquisizione dell’autonomia energetica. Al di là della liceità di un tale baratto, va detto che gli stessi favorevoli alle trivellazioni, per esempio Gianfranco Borghini, affermano candidamente che non arriveremmo comunque all’autosufficienza.
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In Sicilia sia Crocetta che Ardizzone nel novembre del 2014 rivendicarono l’uno l’opportunità per la Sicilia di sfruttare l’oro nero, l’altro la necessità di far pagare ai petrolieri le tasse.
In particolare, il presidente della Regione denunciava il rischio per l’isola di perdere 500 milioni di royalites per il voto contrario dell’Assemblea alle trivellazioni.
Cifre decisamente discutibili, infatti la somma versata dai petrolieri per tutta l’Italia ammonta a poco meno di 400 milioni, di cui la Sicilia riceve 1,5 o 1,7 milioni di euro l’anno. Se dividessimo tale somma per i 5 milioni di residenti in Sicilia emergerebbe che le concessioni fruttano 30 centesimi l’anno a ciascuno.
Dati, questi ultimi, che rendono incomprensibile il motivo per cui nel settembre 2015 il Pd siciliano ha votato contro l’adesione della Sicilia al gruppo di Regioni che proponevano il referendum abrogativo degli art. 35 e 38 dello Sblocca Italia.
Intanto si continua a trivellare: a gennaio il ministro dello Sviluppo ha accolto la domanda di estensione del campo di perforazione fatta dalla multinazionale Schlumberger a Pantelleria, mentre altre richieste sono state presentate dal gruppo Enimed per Gela.
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Come sempre noi vogliamo vedere quello che ci interessa vedere, per il resto non alziamo un dito contro i comuni che non hanno impianti di depurazione, che scaricano le acque luride nei nostri mari. Coso emblematico il depuratore dei comuni di Taormina e di Calatabiano. Detti comuni nel periodo estivo scaricano nel madre migliaia di mc. di liquame , al punto tale che da circa 4 anni tutta la costa che da Acireale corre fino a San. Teresa di Riva diventa una poltiglia di melma. Questi cazzo di ambientalisti dove sono?????? Mi viene da pensare che i loro interventi sono guidati da mani sicure, in modo tale da colpire solo dove interessa.