Il tema e altri ad esso collegati, sono oggetto in questi giorni di un dibattito intenso ed esteso. A Catania se ne è parlato già alla fine di novembre, a villa Cerami, con un incontro pubblico, relatori Renato Balduzzi e Tommaso Auletta.
Attualmente membro del CSM, Renato Balduzzi è stato consulente dell’ora ministra della famiglia Rosy Bindi e ha tenuto a battesimo i DICO, la proposta di legge sui “DIritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi” avanzata nel 2007 dal governo Prodi, osteggiata sia dalle gerarchie cattoliche, che vi leggevano un attacco alla famiglia, sia dai radicali e dalle associazioni laiche che la consideravano ‘timida’ e inadeguata.
Anche l’Unione Europea ha sollecitato i suoi membri a normare questi tipi di unione e la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per non averlo ancora fatto.
Il disegno di legge in discussione, tuttavia, dà -a parere del giurista- quasi per scontata la possibilità di legiferare su questo tema senza modificare alcuni articoli della Costituzione, che non contempla le questioni relative alle convivenze né tanto meno quelle relative alle unioni omosessuali.
Gli articoli della Costituzione che andrebbero analizzati in quest’ottica sono: innanzi tutto l’articolo 2 che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, l’articolo 3 che riconosce a tutti i cittadini pari dignità sociale e uguaglianza davanti alla legge e soprattutto l’articolo 29 che “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
Sebbene non contenga un esplicito divieto dei matrimoni omosessuali, secondo Balduzzi, esso prevede una sorta di ‘plusvalore’ della famiglia rispetto ad altre formazioni sociali pur meritevoli di tutela.
Non c’è, tuttavia, accordo tra i costituzionalisti né sulla necessità né sulla possibilità di modificare questo articolo, che alcuni ritengono addirittura “sottratto alla revisione”.
Pur essendo indubio che il diritto di sposarsi costituisca un diritto fondamentale della persona, “si possono davvero attribuire le caratteristiche del coniugio ad una ‘formazione sociale‘ come la convivenza tra persone delle stesso sesso?” si chiedeBalduzzi.
A suo parere sarebbe quanto meno necessaria una ‘sentenza addittiva’ della Corte Cstituzionale, strumento usato in genere con molta parsimonia, che precisi quello che nella legge proposta non viene precisato.
Con la proposta di legge Cirinnà il legislatore, lasciando l’istituto del matrimonio alle coppie di sesso diversi, fa la scelta di creare un istituto diverso, quello appunto delle ‘unioni civili’ tra persone dello stesso stesso. I due soggetti interessati firmano, davanti ad un ufficiale di stato civile, una dichiarazione che, registrata, diventa sufficiente per dare all’unione omosessuale, sotto tutti i profili, le conseguenze del coniugio.
Quanto alle adozioni, sembrerebbero ammesse solo quelle di figli avuti in precedenza dal partner, ma – non essendo specificato- potrebbero essere prese in considerazione anche quelle di figli programmati con metodi artificiali. Una questione scottante che, soprattutto in questi giorni, sta infiammando gli animi e dividendo i partiti.
Nell’articolo 3 della Cirinnà, oltretutto, Auletta individua una sorta di contraddizione, figlia probabilmente di un compromesso, in cui cade il legislatore quando afferma che, nell’unione civile, “le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare”. Insomma è famiglia o non lo è? si chiede il docente.
Ma le critiche di Auletta, che considera abbastanza condivisibile la prima parte della legge e non ravvisa contrasto con l’articolo 29 della Costituzione, si appuntano soprattutto sulla seconda parte del disegno di legge, quella che disciplina le convivenze di fatto e che gli appare francamente mal fatta.
Non è, innanzi tutto, richiesta la registrazione davanti ad un ufficiale dello stato civile, un elemento di certezza previsto invece per le unioni civili. L’elemento anagrafico della convivenza sostituisce la dichiarazione e non permette di rendere evidente la coppia scelta di convivenza fatta dalla coppia, con le sue conseguenze giuridiche.
Di più. Nella parte che riguarda gli accordi di convivenza ci sono anche degli strafalcioni come il rinvio ad una norma già abrogata, il richiamo a situazioni contrarie alle premesse, l’inutile riferimento alla nullità se l’accordo è stipulato da un interdetto e via discorrendo. Se la legge passasse così come è, conclude Auletta, “ci sarebbe molto lavoro per i giuristi”.
Siamo quindi in presenza di un testo non lineare, eppure per Paolo Patanè, già presidente nazionale di Arcigay, intervenuto al dibattito, il legislatore dovrebbe solo riconoscere a tutti gli stessi diritti, anche quello di sposarsi e di
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Io (uomo) e mia moglie (donna), abbiamo messo al mondo nostro figlio.
Non facciamo diventare le cose NATURALI in cose INNATURALI.