C’è un richiamo esplicito a Giovanni XXIII, che in apertura del Concilio Vaticano II aveva detto che “la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che imbracciare le armi del rigore”, prendendo le distanze rispetto al precedente magistero della Chiesa, che aveva scelto di ‘usare il bastone della disciplina’, da Gregorio XVI a Pio XII.
Questo il nucleo centrale della relazione sul significato del giubileo fatta qualche giorno fa dal teologo Pino Ruggieri nella chiesa Crocifisso della Buona Morte.
Non è scontata e non è da tutti condivisa, anche dentro la Chiesa cattolica, l’affermazione di papa Bergoglio secondo cui la Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo il Vaticano II, evento di svolta da cui è iniziato un nuovo percorso, momento privilegiato in cui i cardinali riuniti hanno sentito il soffio dello spirito e capito di dover parlare agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile, abbattendo le barriere che avevano “rinchiuso la chiesa in una cittadella privilegiata”.
E non si tratta di un’immagine, ha detto Ruggieri, ma del richiamo al titolo di un libro del teologo svizzero Von Baltasar, “Abbattere i bastioni”, che invitava ad annunciare il Vangelo in modo nuovo.
Il contesto in cui è stato indetto l’anno santo della misericordia non è casuale. A parere di Ruggieri, l’attuale Papa ha voluto esortare alla misericordia, ed anche ammonire, i vescovi reduci dai due sinodi sulla famiglia, quello straordinario del 2014 e quello ordinario del 2015.
Due sinodi che non devono essere considerati celebrazioni di routine perchè “in essi si è giocato il destino stesso di questo pontificato”, che intende rinnovare alla radice la prassi della Chiesa, soprattutto sui matrimoni andati in fallimento.
L’ammissione alla piena comunione ecclesiale dei divorziati risposati è stato il nucleo centrale dei sinodi, e papa Francesco aveva già osservato, nel concistoro di febbraio 2014, la reazione gelida dei cardinali all’intervento del cardinale Kasper, che proponeva un cambiamento di paradigma rispetto al passato.
Non è un caso che gli interventi pubblici del papa sulla misericordia siano diventati martellanti dopo che, nel sinodo straordinario, la proposta di dare la comunione ai divorziati risposati non ebbe la maggioranza qualificata (2/3).
Nell’indire l’attuale giubileo, Francesco presenta in modo nuovo anche il concetto di indulgenza, associato da Bonifacio VIII al primo giubileo della Chiesa cattolica, proclamato nel 1300. Non più una visione ‘quantitativa’, già messa in discussione dai moderni teologi, né il richiamo a pratiche che in modo quasi automatico permettono di ottenere la cancellazione non solo della colpa ma anche della pena.
Il Papa invita ad accostarsi alla misericordia del Padre con la certezza che il suo perdono, la sua ‘indulgenza’ misericordiosa libererà il credente dalla impronta negativa lasciata dal peccato, facendogli ritrovare la potenza della grazia.
Un invito alla liberazione che ben si accorda alla natura del giubileo nell’antico Israele, dove -ogni 50 anni- la terra, di cui Dio era l’unico proprietario, non doveva essere coltivata e ciascuno doveva tornare “in possesso del suo” (Levitico, 25) mentre gli schiavi venivano liberati insieme ai loro figli.
Anche la tradizionale apertura della porta santa viene rivisitata. Non solo a San Pietro o nelle basiliche romane, ma in ogni cattedrale o in una chiesa di ‘speciale significato’ -dice il Papa- deve aprirsi una porta santa, una porta della misericordia che “ci immette nello spazio della misericordia di Dio”.
Non è quindi necessario andare a Roma, anche se ognuno viene invitato, sulla base delle proprie forze, a compiere un pellegrinaggio, gesto penitenziale che implica anche una fatica fisica.
Come il pellegrino percorre la strada fino alla meta agognata, afferma Bergoglio, anche noi dobbiamo impegnarci ad essere misericordiosi come il Padre lo è con noi, essendo la misericordia una meta da raggiungere, che richiede impegno e sacrificio.
Nella stessa direzione, superamento della giustizia e prevalere della misericordia, va la citazione del profeta Osea, vissuto in un’epoca drammatica, in cui il popolo, che aveva perso fede dei padri, meritava la pena dell’esilio. Ma Dio rinuncia all’ira e manifesta il suo volto di misericordia.
Così anche la parabola del figliol prodigo: il padre va di sua iniziativa incontro al figlio, interrompe le sue richieste di perdono, lo abbraccia e vuole che si faccia festa per il suo ritorno.
La misericordia annunciata da Bergoglio non può essere ridotta, però, alla dimensione personale, si estende infatti a quella collettiva ed ecclesiale ed implica un mutamento della vita stessa della chiesa e delle sue strutture.
Affinchè nessuno resti fuori, Francesco rivolge il pensiero anche a chi compie i peccati più gravi del nostro tempo, individuati nell’azione della criminalità organizzata e nella corruzione, “piaga putrefatta che mina dalle fondamenta la vita sociale, impedisce di guardare al domani con speranza, schiaccia i più poveri, sostituisce Dio con l’illusione del denaro come forma di potenza”.
Il Papa apre infine al dialogo con le altre religioni, ebraismo, islam (“che attribuisce al creatore il nome
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