Nessuna enfasi, nessun vittimismo, solo ‘dettagli’ che permettono -tuttavia- di intravvedere le situazioni tragiche che questi ragazzi giovanissimi si lasciano alle spalle.
Riportiamo oggi la storia di Muhammed e Samasa
I miei genitori vivono in Gambia. Mio padre è in prigione dal 2012 per problemi religiosi. Mio padre è musulmano ed è in minoranza nel villaggio rispetto ai cristiani. Mio padre è l’Imam e alle 4 del mattino raccoglieva i musulmani per pregare. Questo disturbava gli altri del villaggio. Mia madre non lavora. Ho un fratello e una sorella più piccoli e anche loro non lavorano.
Non so come vivano i miei familiari adesso. Io ho lasciato il Gambia quando mio padre è stato messo in prigione, sia per questi problemi religiosi che per poter mantenere i miei familiari.
Sono stato a scuola per 6 anni. Ho finito la scuola nel 2011 per problemi finanziari.
(Il viaggio) Sono partito dal Gambia il 21/8/2013. Ho raggiunto il Senegal e lì ho lavorato 2 mesi in una piantagione di banane. Ho poi raggiunto il Mali e sono andato subito in Burkina Fasu. Lì ho lavorato per una donna che vendeva scarpe e lì sono rimasto poco più di due mesi. Dopo ho raggiunto il Niger e lì sono rimasto solo 2 settimane.
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Non ho mai chiamato i miei genitori al telefono. Poi sono andato in Libia e lì ho cercato lavoro. Per un mese ho cercato lavoro anche se non sempre riuscivo a trovarlo. Ho lavorato occupandomi delle pulizie di vestiti e caricare materiale nelle auto. Dormivo in una casa assieme ad altre persone.
Mentre ero all’interno di un campo dove vi erano solo stranieri, sono venuti alle 6 del mattino dei poliziotti in uniforme e ci hanno portati tutti in prigione, senza essere stati visti da un giudice.
Nella stanza eravamo più di 400 persone, tutti stranieri. Dormivamo su delle brandine. Ci davano da mangiare e da bere una volta al giorno. Ci davano piccoli pezzi di pane e una minestrina. In prigione sono rimasto 5 mesi.
Ogni giorno ci chiedevano 1000 dinari per essere rilasciati. Ci colpivano con una sorta di frusta. Non usavano fili elettrici. Sono scappato dalla prigione perché alcuni nigeriani hanno rotto la porta.
Quando sono uscito dalla prigione un uomo del Niger mi ha condotto a casa sua per un giorno perché mi ha visto sofferente. Poi ha chiamato una persona che aveva una auto e mi ha portato vicino Tripoli, in un posto dove vi sono tanti Gambiani. Lì sono rimasto due mesi. Ho lavorato e venivo pagato.
Per il viaggio ho pagato 200 dinari. Non ricordo quanti eravamo sul barcone.
La traversata è durata 2 giorni.
*****
Sono partito dal Mali nel 2013 per andare in Algeria, Libia e poi Italia. Per pagarmi il viaggio ho lavorato come meccanico a Mali e in Algeria, mentre in Libia ho svolto attività di commerciante.
Mio padre faceva il commerciante e mia madre è casalinga. Mio padre ha perso il lavoro a seguito della guerra.
Sono venuto in Italia per la guerra che è presente nel mio Paese.
Non sono mai andato a scuola mentre ero in Mali, perché per andare a scuola occorre pagare e chi è povero non può frequentare una scuola.
Non ho frequentato neanche la scuola coranica.
Tutti i lunedì parlo con i miei familiari grazie al mio tutore che mi fa chiamare col suo telefono.
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