Parliamo di provvedimenti che le questure siciliane stanno adottando ormai a centinaia, con “intimazione a lasciare entro sette giorni il territorio dello stato attraverso la frontiera di Roma Fiumicino”.
Un obbligo impossibile da assolvere per chi non ha mezzi e documenti, un provvedimento che molti migranti non capiscono nemmeno e a cui non saprebbero con quali mezzi opporsi. E che li lascia, di fatto, in mezzo alla strada, senza alcun sostegno e in balia di speculatori e trafficanti.
Oggetto di questi respingimenti sono i migranti che vengono definiti ‘economici’, cioè arrivati n Europa per migliorare la propria condizione, per distinguerli da coloro che giungono per sfuggire a guerre e persecuzioni, classificati come ‘rifugiati’.
Una differenza, quella tra ‘rifugati’ e migranti economici, che appare inaccettabile ad Aboubakar Soumahoro, portavoce della coalizione internazionale Sans Papiers e componente dell’esecutivo nazionale del sindacato USB, presente lo scorso tre ottobre, anniversario della strage di Lampedusa, al dibattito organizzato, presso la Palestra Lupo, da La Città Felice, Rete Antirazzista Catanese e Rete delle Città Vicine, sulle connessioni fra gestione delle migrazioni e militarizzazione del territorio. Incontro seguito dalla proiezione, avvenuta contemporaneamente in oltre 40 città italiane su invito dell’Associazione Askavusa Lampedusa, del film di Antonio Maggiore sulla strage, .
Presenti, fra gli altri, una parte dei migranti cacciati, nei giorni precednti, dal Palaspedini ed espulsi collettivamente.
“Oggi sta vincendo la cultura dell’indifferenza – ci ha detto Soumahoro- e della disumanizzazione dei rapporti sociali”. E ancora: “Il ricordo dei morti viene rimosso velocemente mentre i migranti sono solo numeri senza diritti”.
Quasi nessuno, del resto, riflette sulle cause che determinano questi esodi di massa, poiché, se lo si facesse, bisognerebbe interrogarsi su quanto il crescente sfruttamento delle risorse dei paesi africani da parte di molte potenze straniere e le stesse politiche internazionali dell’Unione Europea abbiano contribuito e contribuiscono a determinare i fenomeni di crescente impoverimento che costringono
molti africani a lasciare il proprio paese.
Basti pensare alle cosiddette guerre “umanitarie” dietro cui si nascondono precisi interessi geopolitici e alla ‘guerra economica’ guidata, anche, dal Fondo Monetario Internazionale.
Impossibile del resto fermare i flussi migratori. Risultano incapaci di contenerli sia le norme giuridiche sia le barriere fisiche, i muri, il filo spinato.
Non bisogna nemmeno enfatizzare parziali aperture, come quelle recentemente avvenute in Germania -ci dice ancora Soumahoro- funzionali, visto che non sono state rimesse in discussione le regole generali sull’immigrazione (Shengen e Dublino), a garantire la presenza di forza-lavoro a basso costo.
Occorre, perciò, proseguire nell’analisi strutturale del fenomeno, parlare di crimini e non di tragedie, ragionare sul valore della vita umana, che non può variare in relazione al luogo di nascita o
provenienza, e, soprattutto -conclude il nostro interlocutore- non arrendersi.
Della questione dei recenti respingimenti differiti, che possono definirsi anche collettivi in quanto mancano le motivazioni individuali del provvedimento, si occupa dettagliatamente Fulvio Vassallo Paleologo che, nel suo blog “Diritti e fontiere”, analizza il fenomeno e le sue implicazioni, da quelle pratiche a quelle giuridiche.
Sull’obbligo di rimpatrio attraverso la frontiera di Roma-Fiumicino, ci sarebbe da vedere cosa accadrebbe “se gli immigrati che ricevono questi provvedimenti di respingimento, si presentassero tutti insieme all’aeroporto di Fiumicino per chiedere di essere rimpatriati”, scrive con una punta di ironia.
Evidenzia peò soprattutto i risvolti tragici della vicenda, l’elevato rischio che possano essere rimpatriati minori non accompagnati, donne sole, vittime di tratta o di tortura. “Nessuno, infatti, ha la garanzia di potere fare valere prima del rimpatrio la sua condizione individuale”.
Alla base di questi provvedimenti ci sono gli accordi bilaterali di riammissione che l’Italia ha firmato con vari paesi. “Accordi che, nelle versioni adottate negli ultimi anni, a partire dal 2009 soprattutto, prevedono forme di identificazione semplificate, di fatto attraverso la mera attribuzione della nazionalità.” scrive ancora Vassallo.
Ai migranti viene a mancare l’effettivo esercizio dei diritti di difesa, sebbene le norme, oltre a vietare i respingimenti collettivi, imporrebbero che, già subito dopo lo sbarco, sia fornita ai migranti una corretta informazione sul diritto alla protezione internazionale.
Vassallo ricorda anche che respingimenti ed espulsioni collettive sono vietati dall’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 4 del quarto Protocollo allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo e violano l’art. 13 della Convenzione Europea.
Su queste violazioni l’Italia ha già subito delle sentenze di condanna della Corte Europea dei diritti dell’Uomo senza che questo abbia indotto il ministero dell’interno ad adottare una linea “conforme agli obblighi derivanti dalle Convenzioni internazionali e dai Trattati europei”.
E’ infatti evidente che accordi blaterali come quelli sottoscritti dall’Italia con l’Egitto e con la Nigeria, individuati -potremmo dire con una certa ipocrisia- come “paesi terzi sicuri”, implicano il rischio di continue violazioni dei diritti umani per coloro che vengono deportati in patria senza potere usufruire di alcuna garanzia.
La preoccupazione diffusa tra gli operatori delle associazioni umanitarie è quella che si stia di fatto cancellando il diritto di asilo. Ecco perchè i legali che collaborano con queste associazioni stanno provando a studiare insieme il fenomeno e ad individuare, con il supporto della ASGI (associazione per gi studi giuridici sull’immigrazione), strategie comuni di intervento.
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