E’ un’opera prima questo lungometraggio (nelle sale cinematografiche catanesi da alcune settimane) il cui contenuto si rifà liberamente ad un dramma di Pirandello, “ La vita che ti diedi “ del 1924, a sua volta ispirata alle due novelle “ La camera in attesa “ del 1916 e “ I pensionati della memoria “ del 1914.
Il film è ambientato in Sicilia tra i colori e i profumi dell’assolata campagna ragusana e le lunari e nebbiose strade della mareneve dell’Etna.
La storia. Anna , una madre distrutta dal dolore a causa della morte del figlio Giuseppe, ne tace con la giovane fidanzata di lui , Jeanne , giunta dalla Francia in Sicilia proprio su invito del ragazzo, per trascorrere qualche giorno di vacanza.
In un’antica villa (il bellissimo casale Fegotto di Chiaramonte Gulfi ) si celebra il funerale del giovane e una lunga teoria di donne e uomini fasciati nei loro vestiti neri e con i volti rigati di lacrime, rinnova il cordoglio e la pena alla madre dolente e disperata . A Pietro il tuttofare della casa il compito di oscurare con tende nere gli specchi ( usanza tradizionale per evitare i riflessi demoniaci ) e chiudere tutte le imposte della dimora per rendere ancora più tangibile la presenza della morte.
A fare da contraltare l’arrivo inatteso di una giovane donna che dichiara di essere la fidanzata di Giuseppe e della quale Anna sconosce l’esistenza. L’incontro tra le due donne avviene il giorno successivo al funerale tra il disagio di Jeanne. La ragazza non sa nulla della morte di Giuseppe del quale non ha notizie da alcuni giorni, crede di essere ospite non gradita.
Anna nasconde la verità e spiega la presenza in casa delle persone vestite a lutto per la morte di un fratello. Non parlare della morte del figlio diventa per lei farlo rimanere in qualche modo ancora in vita.
Il dialogo è stringato, secco, in lingua francese perché anche Anna è di origine francese e si conclude con l’invito di Anna a Jeanne di rimanere per aspettare insieme l’arrivo di Giuseppe che, rassicura, tornerà per i festeggiamenti della Pasqua.
Comincia così l’attesa e le due donne cominciano a conoscersi, l’una cucina per l’altra, insieme si recano al lago, si ristorano al bagno turco, ammirano i bei mosaici della villa del Casale di Piazza Armerina.
Sembrano intendersi e il volto di Anna si fa più sereno e disteso e anche la casa partecipa di questo cambiamento: vengono tolte le tende oscure dagli specchi , vengono aperti i battenti delle finestre per fare entrare luce e sole e quelli delle porte per accogliere due ragazzi che Jeanne ha conosciuto al lago con i quali mangiano, ridono, e ballano sulle note della canzone di Leonard Cohen “Waiting for the miracle”.
Così la protagonista Jiuliette Binoche commenta il suo personaggio “Anna è una donna che si crea un mondo magico per non pronunciare l’innominabile“. Anche il regista ci dice “questo film nasce da un racconto di un mio amico su una persona che aveva vissuto un lutto e aveva deciso di non parlarne, convincendo tutti a fare lo stesso”.
E la protagonista de “La vita che ti diedi” di Pirandello non vuole uscire dal suo sogno incubo e cerca di mantenere il figlio in vita, oltre il limite della ragione e della realtà.
L’attesa così per Anna prolunga l’esistenza del figlio e la condivisione con Jeanne allevia la pena, la mancanza, il vuoto. Lei non vuole lasciare andare il figlio, né tutto quello che lo circondava dal piatto con gli avanzi di un pasto, alla tazza del thè , al materassino di gomma da lui gonfiato, che trattiene ancora il suo respiro e che Lei abbraccia in maniera struggente.
Anna continua sulla via della menzogna dicendo alla ragazza che Giuseppe aveva deciso di lasciarla e desiderava che lei si rifacesse una sua vita: così al lutto per la morte del figlio si sovrappone quello per la fine di un amore altrettanto doloroso per la ragazza che non capisce e non si da pace.
Ma a rimettere le cose in ordine ci pensa Pietro che più volte aveva sollecitato Anna a dire la verità a Jeanne e, nella scena finale, Anna e Jeanne si abbracciano in un corale pianto che dà sfogo al loro dolore divenuto palese e manifesto .
In questo film il giovane regista ha dimostrato una buona padronanza della macchina da presa: belle inquadrature , intensi primi piani, ricerca dei particolari, ottima la fotografia, ogni scena è studiata nulla è lasciato al caso o all’improvvisazione. Anche il contenuto manifesta un buon retroterra culturale sia letterario sia musicale, che ha dato così alla storia uno spessore narrativo in una forma però talvolta troppo manieristica, facendo leva anche sugli aspetti emozionali .
C’è da chiedersi perché abbia scelto come protagoniste due francesi calate in una realtà tipicamente siciliana: forse per universalizzare il concetto dell’elaborazione del lutto, ma allora come mai questa minuziosa descrizione dei rituali del rito funebre e dei luoghi siciliani?
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condivido in parte il giudizio su questa bella narrazione dello "incontro" più che della "attesa", delle vie di fuga che gli esseri si danno per sopravvivere non soltanto al dolore ma anche al quotidiano....
Dicevo in parte perchè in alcuni momenti ho registrato una azione lenta e faticosa da seguire, superata dalla bravura della Binoche, dalle ambientazioni a me care....
Un film da vedere, seguito però poi da una cena serena con amici cari....