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Fava racconta San Berillo (4)

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La miseria e la virtù
Catania / San Berillo, vent’anni fa
di Giuseppe Fava (I Siciliani 2/4/86)

Quali erano gli impegni finanziari dell’Istituto Immobiliare nel cosiddetto risanamento del quartiere di San Berillo?
Si chiudeva con questa domanda l’ultimo stralcio da noi pubblicato dell’inchiesta di Pippo Fava su San Berillo, apparsa su La Sicilia nel 1966 e ripubblicata su ‘I Siciliani’ venti anni dopo.
Ecco la risposta di Fava, che porta alla luce non solo tutti i numeri relativi all’operazione speculativa concordata tra enti pubblici e società private, ma svela anche l’esistenza di un ‘misterioso’ documento che moltiplicherebbe incredibilmente i vantaggi dei privati.
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Esso (l’Istituto Immobiliare) si impegnava a pagare tutte le spese per le demolizioni del quartiere, valutate in circa due miliardi, ed a sostenere l’intero onere per la costruzione del grande Corso Sicilia e di tutte le strade adiacenti, delle piazze, fognature, gallerie per pubblici servizi, aiuole ed opere di giardinaggio per un ammontare di un altro miliardo.
Più ancora un miliardo di imposte di ricchezza mobile, più novecento milioni di interessi passivi sul capitale di tutta l’operazione, più un miliardo e trecento milioni di dividendi ed un miliardo infine di spese varie. Insomma una spesa totale di sette miliardi.
Di fronte a quest’onere finanziario, certo imponente, sta però la non calcolabile ricchezza di tutte le aree edificabili del quartiere che in forza di legge, passano in proprietà dell’Istituto Immobiliare il quale può venderle, permutarle o edificarvi liberamente, tranne una quota parte (anch’essa di sua proprietà) ma che i proprietari del quartiere, riuniti in consorzio, hanno diritto di acquistare a prezzo di prelazione, cioè al prezzo risultante dalla media tra il costo degli espropri e quello delle demolizioni.
In proposito è opportuno precisare che tale prezzo è stato stabilito in circa settanta mila lire al metro quadrato e che non c’è stato alcun consorzio di ex proprietari che abbia mai chiesto di acquistare alcuna area edificabile.

Nel vecchio San Berillo abitava la popolazione più miserabile della città: piccoli impiegati, artigiani, operai, borsaioli, donnine, piccoli commercianti, pregiudicati, bottegai; chi di loro (sia pure riuniti in consorzio) avrebbero potuto mai anticipare cento o duecento milioni per acquistare un’area edificabile?
Costruite le strade e le piazze, secondo progetto, tutte le aree di risulta sono dunque proprietà definitiva dell’Immobiliare. Secondo il contratto di concessione, e quindi secondo la legge, l’area totale del quartiere di San Berillo è di complessivi 240 mila metri quadrati.
Di questa sterminata area che si stende dal cuore della città fino al mare, 123 mila metri quadrati dovrebbero essere destinati a strade e piazze. L’insieme delle aree edificabili di proprietà definitiva dell’Immobiliare dovrebbero essere dunque di 117 mila metri quadrati, ai quali, secondo il calcolo più prudente e stabilendo il prezzo medio in centomila lire al metro quadrato, si può attribuire pertanto il valore di di circa dodici miliardi.
Un calcolo che può variare secondo le congiunture della edilizia, e comunque prudente, in quanto queste aree sono le sole che si sottraggono ai vincoli del piano regolatore e sulle quali perciò si possono costruire edifici di otto e dieci piani al centro della città, compreso un grattacielo di venti piani.
I vantaggi dell’iniziativa sono indiscutibili e diventerebbero incalcolabili qualora fosse accertata per vera una cifra che compare su un piccolo, sconosciuto, inaudito documento comunale.
Si tratta di un certificato rilasciato dalla direzione dei servizi tecnici di Palazzo degli Elefanti ad un privato cittadino e nel quale incredibilmente si afferma che l’area del rione San Berillo interessata al risanamento è di 274 mila e 366 metri quadrati. Cioè, rispetto alla legge di risanamento del 1956, che calcolava l’area totale in 240 mila metri quadrati di aree edificabili in più. Cioè tre, quattro, cinque miliardi di valore in più.
A chi toccherebbero in tal caso? Potrebbe trattarsi di un allucinante errore di trascrizione su un documento, ma fino a prova contraria il documento c’è, ha l’inequivocabile data dell’undici febbraio del 1966 e costituisce dunque l’ultima e inviolabile affermazione ufficiale.

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