Sono gli otto siti della nostra isola iscritti nella lista patrimonio dell’Umanità (World heritage list), di cui sei definiti tangibili come l’area archeologica di Agrigento, la villa romana del Casale (1997), le isole Eolie (2000), le città tardo barocche del Val di Noto (2002), Siracusa e la Necropoli di Pantalica (2005), il Monte Etna (2013).
Atri due sono detti immateriali, l’opera dei Pupi (2008) e la vite ad alberello di Pantelleria (2014).
Ad essi si aggiungerà a breve il riconoscimento di un altro sito “Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Monreale e Cefalù”. Il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, insieme ai sindaci di Cefalù e Monreale, a Gianni Puglisi. presidente della Commissione nazionale italiana per l’Unesco, ha firmato il Protocollo d’ Intesa ( 07/02/2014) per la candidatura del sito di Palermo nell’elenco del Patrimonio mondiale dell’Umanità.
L’Unesco, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, nasce il 4 novembre 1946 a Parigi, dopo il conflitto mondiale, con l’obiettivo di favorire la pace tra i popoli attraverso la cultura.
Ma è con la Convenzione del Patrimonio mondiale di Parigi del 16 novembre del 1972 che viene sancito il concetto di valore universale del Patrimonio mondiale culturale e naturale alla cui salvaguardia i 190 stati aderenti sono tenuti a partecipare, consapevoli di essere non i proprietari di tali beni, ma i custodi e testimoni per le future generazioni .
Sicuramente riempie di orgoglio sapere che l’Italia è tra quei 190 paesi che hanno firmato la storica Convenzione e che la Sicilia in particolare abbia un così elevato numero di bollini Unesco, più della Siria e del Siam. Una ricchezza enorme che dovrebbe contribuire a trascinare il turismo siciliano, ma che invece non riesce a far crescere il numero degli arrivi soprattutto stranieri.
Secondo l’Enit (agenzia nazionale italiana del turismo) nel 2012 il numero di turisti in Sicilia è stato di 6 milioni contro gli 8 della Campania, i 22 della Toscana, i 26 del Trentino, i 40 del Veneto. Nel 2013 le quote lasciate dagli stranieri in Sicilia sono state 1.100 ml di euro pari ad un trentesimo dell’incasso complessivo italiano. Come mai? Quali sono le cause?
Intanto problemi di natura strutturale come i trasporti difficoltosi, le infrastrutture scadenti , le strutture ricettive bellissime ma difficilmente raggiungibili oppure troppo costose e con servizi non proporzionati.
E poi i musei delle aree archeologiche mal tenuti e chiusi nei giorni di sabato e domenica a causa di singolari accordi sindacali. A tal proposito il neo assessore ai Beni Culturali Antonio Purpura in una intervista fatta al giornale La Sicilia (novembre 2014) dice “Non possiamo più permetterci di chiudere i musei nei giorni festivi …… razionalità è quel che manca”. Un invito a meglio organizzare, a programmare, ad avere lungimiranza e capacità gestionale, passando tuttavia sotto silenzio le responsabilità della stessa Regione.
E ancora l’incapacità di far fronte al nuovo mercato turistico incentrato in larga parte nel web. Uno studio della Fondazione Res dice che la visibilità dei siti museali siciliani è per il 26% accettabile, per il 24% minima, per il 16% scarsa, per il 33% inesistente. Inoltre il portale web del turismo regionale è solo in lingua italiana ed inglese contro le sei lingue del portale delle Baleari !!!.
A denunciare come obsoleto il turismo siciliano basato sulla triade cielo-mare-sole è lo stesso assessore Antonio Purpura , il quale parla di “destagionalizzare e rendere attrattivi i beni culturali” ciò in un’ottica di sinergie tra settore turistico-ambientale e mondo museale.
Sulla cattiva gestione dei siti Unesco in Sicilia si sono espressi sia Legambiente sia l’ex commisario Bondin.
Legambiente ha realizzato un dossier intitolato “Unesco alla siciliana” nel quale GianFranco Zanna, responsabile per i beni culturali di Legambiente Sicilia, parla di siti in sofferenza, di degrado e di abbandono. Di chi la responsabilità? “La regione Sicilia è la grande latitante nella scommessa dei siti Unesco” conclude Zanna.
Raymond Bondin, ambasciatore maltese presso l’Unesco ed ex commissario dell’organismo dell’isola che sceglie quali beni inserire nella lista, denuncia la gestione “scriteriata” del Patrimonio Unesco in Sicilia che potrebbe portare alla revoca dei riconoscimenti. “I politici siciliani- commenta – non riescono a gestire il patrimonio dell’isola in maniera corretta . Anzi non lo gestiscono affatto !”
E’ dello scorso mese di maggio l’ultimatum (proroga di sei mesi) alla Regione Sicilia per non aver costituito i comitati di gestione, organismi previsti dall’Unesco per evitare disservizi e incuria, formati da regione, soprintendenza, comuni, forestale, diocesi e quanti sono coinvolti nella difesa e promozione di un Patrimonio dell’umanità.
Ma anche i Piani di Gestione (strumenti operativi volti a salvaguardare, conservare e proteggere il sito) presentati all’Unesco per il riconoscimento dei siti siciliani sono rimasti per lo più sulla carta.
Nessuno dei 6 siti siciliani dice Aurelio Angelini direttore della Fondazione Unesco Sicilia è coordinato da un comitato di gestione come previsto al momento dell’inserimento nella lista patrimonio.
In parte la Valle dei templi, l’Etna e la villa del Casale, gestite da un ente parco,
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E’ sempre più difficile esprimere opinioni su questi ed altri argomenti che comunque hanno sulla collettività una ricaduta importante e nel caso specifico una ricaduta economica potenzialmente duratura.
La prima sensazione che si prova è sgomento per la , più che aspettata, notizia di “mora” per inadempienza della Amministrazione Regionale, la seconda è di paura; paura che dal cilindro del prestigiatore venga fuori una contro accusa ai nostri accusatori, colpevoli di voler male alla nostra terra ed il terrore che questa tesi trovi una platea esageratamente concorde e mi vengono in mente le tesi contro-parco espresse e integralmente pubblicate dal maggiore quotidiano da un signore che accusa di “salottismo radical chic” quanti insistono per una maggiore tutela del territorio Etneo e colpevoli secondo lo stesso di bloccare il processo economico siciliano (cita la mancanza di Centrali nucleari, ponti, tralicci, etc. tutti i simboli dell’energia ad ogni costo, compresi i buchi in fondo al mar). Da questa diatriba escono indenni quei soggetti (giuridici) che in Sicilia, anziché perdere il sonno davanti alla necessità di costituire e far funzionare i necessari “comitati di gestione”, continuano a seguire le proprie prerogative alla propria velocità ed in completo isolamento dagli altri soggetti.
E’ questo meccanismo che in realtà paralizza ogni iniziativa e quando i sistemi locali si incontrano (siamo in regime globale) con i sistemi degli altri, mostrano di non poter competere, presi come sono ad affermare i propri ridotti confini di competenza entro cui, bisogna riconoscerlo, si muovono con la determinazione dei grandi condottieri ed assoggettano, spesso schiacciandoli, i piccoli cittadini di questa miserabile regione.
egregio sig. Salvatore Castro, il lettore -autore di una lettera pubblicata proprio ieri sulla Sicilia e che pare si chiami Cincotti, è uno strano figuro di tutore dell'ambiente siculo perchè per un verso appare come un rigoroso censore dei poteri pubblici sull'ambiente e dall'altro verso reclama ponti, limitazioni di boschi e di beni pubblici. Questo signore è certamente un fautore del recente provvedimento di cessione di FARI e CASERME in favore dei soliti noti imprenditori e lancia , con il beneplacido del proprietario dei nostri striminziti mezzi di comunicazione, i messaggi di approvazione dei provvedimenti della PA che consentono possibilità di intervento dei privati nella gestione e nel godimento dei famosi e bistrattati BENI COMUNI. Ormai, data l'insistenza del nostro, credo si sia sputtanato a sufficienza per cui credo sia giunto il tempo di dirgli a chiare lettere che abbiamo capito il significato dei suoi interventi e che bisogna piuttosto diffidare i politici e la testarda e interessata burocrazia dal compiere atti e gesti e provvedimenti che possono distrarre dall'uso pubblico beni e servizi comuni. Mi riferisco alle strade, alle piazze, agli striminziti tratti di verde pubblico , alle spiagge ed alle scogliere che sono state prese d'assalto da BANDE DI VERI E PROPRI LADRI che vorrebbero trarre esclusivo profitto da beni pubblici. Il caso dei FARI e delle CASERME è emblematico e bisogna intervenire per evitare che financo questi beni residuali vengano accaparrati e sottratti al godimento dei cittadini che sono i veri ed unici proprietari e quindi titolari dell'uso sul bene comune. Debbo riconoscere che il problema è di difficile soluzione perchè le università e le categorie professionali interessate, ingegneri e avvocati, lottano silenziosamente per mettere le mani sui profitti che i loro astuti clienti riscono a trarre proprio dai BENI COMUNI.