L’appuntamento è alle 18 nel cortile di via Pistone 20, dove Goliarda abitava con la sua allargata famiglia fuori dalla “norma”. Quella parte del quartiere, del vecchio San Berillo, che la scrittrice nei suoi libri chiama Civita, è rimasta pressoché immutata da quei tempi, gli anni venti e trenta.
Non c’è traccia della speculazione che incombe di nuovo o, meglio, sta già inglobando a macchia di leopardo l’antico quartiere, già sventrato e stravolto dalla prima, spregiudicata operazione edilizio-finanziaria degli anni 50, con la “deportazione” degli abitanti. C’è ancora la sua casa, in cui adesso abita Lillo, il nuovo proprietario. C’è ancora la friggitoria Stella e allora come oggi le sue ottime crispelle, pizze siciliane, scacciate. C’è il cinema Mirone, anche se adesso si chiama King.
E’ questo l’itinerario che abbiamo voluto ripercorrere, ulteriore tratto-tragitto-pista da aggiungere idealmente all’indimenticabile viaggio sentimentale e letterario, pensato e proposto da Pina Mandolfo e dalla sua Società delle letterate nel settembre di tre anni fa.
Nel cortile di via Pistone ha presentato la festa di compleanno Emma Baeri Parisi che l’ha ideata e che l’ha costruita insieme alle Voltapagina, “cerchio femminista di amiche compagne sorelle”.
“In un contagio crescente – dice – ciascuna del mio cerchio a modo proprio ha stabilito un diverso legame con Goliarda, che è poi diventato legame tra noi, che è all’origine di questa festa, con la quale vogliamo augurare a questa nostra concittadina lunga vita nella nostra memoria, e nella memoria della sua città”.
La famiglia era davvero sui generis. Così Baeri descrive la madre, Maria Giudice, “militante socialista, intellettuale colta, sindacalista, una donna “altrove” rispetto al tradizionale ruolo materno, quindi per niente accudente, piuttosto sempre intenta a studiare e a preparare discorsi per le riunioni politiche, per i comizi. Vedova con sette figli arriva a Catania nel 1920, incontra un avvocato socialista, Giuseppe Sapienza, “avvocato dei poveri”, vedovo con tre figli, sanguigno, appassionato, fimminaro”.
La scuola di Goliarda non ebbe banchi o maestri istituzionali; le lezioni le tenne la strada e il cinema, gli artigiani e i pupari della “Civita”, oltre a un vecchio professore che la incontrava in casa.
Nel cortile di via Pistone le Leggère, per loro ammissione non attrici ma solo donne che amano la lettura e vogliono farla amare, hanno dato vita a delle letture-performance da Io Jean Gabin, Lettera aperta e altri scritti.
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Al cinema King, sotto il neon col nuovo nome, Le Voltapagina hanno posto uno striscione con la scritta “Cinema Mirone”. A parte questo ed altri piccoli ritocchi (poltrone con lo schienale più alto e pareti ridipinte) la sala e la tribuna sono quelle frequentate dalla piccola Goliarda.
Vi si recava da sola per essere subito risucchiata dallo schermo in cui Jean Gabin dava vita a personaggi forti e maledetti nei quali lei si identificava totalmente. “Sola, bilanciandomi su passi brevi ed energici sprizzanti coraggio altezzoso, – scrive in “Io Jean Gabin” – adattavo i miei piccoli piedi alla camminata piena di autosufficienza virile di Jean Gabin, fissando gli occhi bui della mia casbah di lava…”
Lì in occasione della festa di compleanno è stata proiettata le versione restaurata del film Il porto delle nebbie con Jean Gabin e Michele Morgan da rivedere con gli occhi di Goliarda.
Nell’introduzione di Emma Baeri alcune parole fanno da perno, “innamoramento e gratitudine” . Innamoramento dell’”immagine di questa bambina e adolescente, libera, curiosa, trasgressiva”. Gratitudine “ per il modo in cui Goliarda “è cresciuta senza tradire le sue radici”. Altre parole come “cura e reponsabilità”, le stesse che hanno spinto le Voltapagina ad intestarsi una battaglia -del resto non
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Non la conoscevo questa scrittrice ma ho appena letto le prime pagine del suo libro e ne ho comprato una copia. Grazie dell'articolo.