A far gli onori di casa, oltre al Rettore, anche il direttore del diparimento, Giuseppe Barone. Ospiti: il pubblico ministero Nino Di Matteo, Antonio Ingroia, Salvatore Borsellino e Giorgio Bongiovanni (direttore di “Antimafia 2000”). Colpevolmente assenti i rappresentanti del Comune, la sedia riservata a Francesca Raciti, presidente del Consiglio Comunale, è rimasta desolatamente vuota per l’intero dibattito.
“Abbiamo bisogno anche di un Parlamento -prosegue Ingroia- che fornisca strumenti adeguati per la lotta alle mafie, di un Governo diverso da quello che negli anni ‘80 scelse la strada della trattativa rispetto a quella dell’intransigenza”.
Insomma, c’è tanto da fare anche fuori dalla magistratura e per questo motivo l’ex magistrato, rispondendo alla domanda del moderatore Luciano Mirone, afferma di non essersi pentito del suo addio alla magistratura. Chiude il suo intervento con un invito, rivolto a tutti, all’intransigenza e alla responsabilità perchè si possa contrastare “l’impunità e l’irresponsabilità sulle quali si è costruita la storia recente del nostro Paese”.
Commuove tutti i presenti, con la sua passione e il suo impegno, Salvatore Borsellino. “Io non sono il fratello di Paolo” – afferma lapidariamente – “Essere fratelli significa condividere gli stessi sogni e le stesse lotte. Mentre Paolo è rimasto per cambiare Palermo, io sono andato via”.
“La trattativa continua ancora oggi. Cosa credete che sia se non trattativa la riscrittura della Costituzione con un condannato?”.
Sulla connessione tra mafia e corruzione si sofferma, nel suo intervento, Nino Di Matteo. “Siamo in un sistema integrato in cui mafia e corruzione sono facce della stessa medaglia”.
Gli esempi non mancano, da quello storico di Michele Navarra, noto medico-chirurgo che fu boss mafioso prima di Riina e Provenzano, a quello recente di un altro medico con il ruolo di capo-mandamento a Brancaccio. come emerge da recenti intercettazioni.
Perchè questo soggetto avrebbe chiesto con insistenza a chi di dovere che un proprio “amico” divenisse funzionario europeo se non per conoscere in anticipo i flussi di denaro provenienti dall’Unione Europea?
Ancora. In occasione della nascita di un centro commerciale alle porte di Palermo, è emerso che un imprenditore, per evitare che i numerosi proprietari terrieri ostacolassero il progetto e per ottenere subito il cambio di destinazione d’uso del terreno, si è rivolto direttamente ai boss mafiosi, che hanno ricevuto in cambio appalti per la costruzione del centro e la gestione delle gallerie.
“Ciò che è cambiato è il rapporto tra l’imprenditoria e la mafia – spiega Di Matteo – Prima l’imprenditore era vittima, adesso tra l’imprenditore e la mafia vi è un rapporto di reciproci vantaggi”.
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“Purtroppo – prosegue – il sistema di norme che dovrebbe far fronte ai fenomeni di corruzione è assolutamente inefficace. A ciò si aggiunge spesso la prescrizione”, con il risultato di un “sistema corruttivo costantemente impunito” che rappresenta “la sconfitta più atroce per lo Stato”.
“Cosa nostra ha da sempre avvertito la necessità di controllare la politica e la pubblica amministrazione, di infiltrarsi e impadronirsi dell’economia” e “purtroppo non sempre le istituzioni hanno avvertito la speculare necessità di recidere definitivamente questi rapporti con la mafia”.
Perché? “Bieche ragioni di convenienza, opportunismo elettorale e politico. Un’adesione culturale al metodo mafioso nell’esercizio del potere istituzionale”.
Non possiamo accettare che la lotta alla mafia si limiti alla repressione del suo braccio militare. “E’ necessario il salto di qualità” afferma il magistrato palermitano. Soprattutto è necessario che la lotta alla mafia non venga demandata sempre e solo alla magistratura.
“La politica si è allontanata anni luce da quella di Pio La Torre, che nel 1976 faceva scrivere in un atto pubblico della commissione parlamentare antimafia nomi e cognomi di politici e imprenditori collusi con la mafia e dei loro traffici con i boss corleonesi. E lo faceva ancor prima che intervenissero i giudici. Questa era la politica che lottava contro la mafia”.
Alla responsabilità penale, che viene accertata dai giudici, si dovrebbe accompagnare una responsabilità di tipo diverso e forse ancora più importante: la “responsabilità politica”. “Quella che nel nostro Paese non scatta mai”.
“Oggi la situazione è addirittura peggiorata. Una sentenza definitiva passata in Cassazione ha condannato Dell’Utri e ha accertato che Silvio Berlusconi nel 1974 ha stipulato un patto di protezione con le più importanti famiglie mafiose palermitane rimasto in vigore almeno fino al 1992. Questo è scritto in sentenze definitive e non mi sembra che si sia fatta valere una responsabilità di tipo politico
Il pubblico ministero conclude con un appello ai tanti studenti presenti in aula: “Indignatevi, non siate indifferenti, informatevi e lottate per verità e giustizia”.
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