Ci conduce alla riscoperta del nostro passato il romanzo di esordio di Maribella Piana, “I ragazzi della piazza”, presentato a Catania di recente al teatro Angelo Musco. Piana ha partecipato a Masterpiece di Rai tre con altri 5000 concorrenti. Prima eliminata, poi ripescata, è arrivata in finale con altri 11 concorrenti.
Non ha vinto ma ha vinto ugualmente tanta è la carica di entusiasmo e di voglia di scrivere di questa scrittrice alla sua opera prima ma certamente non ultima. Del libro, da aprile in libreria, e della presentazione ci parla oggi il docente di lettere Ferdinando Sorrentino.
Cosa c’entra una banda jazz, formata da sassofono, piano e contrabbasso, con la presentazione del primo romanzo di una scrittrice esordiente? Molto più di quanto si possa credere in un primo momento.
Le canzoni di apertura, Tenco e Paoli, rimandano agli anni Cinquanta/Sessanta nei quali comincia a svolgersi il racconto del libro; riviste in chiave jazz, queste melodie riflettono inoltre la rivisitazione delle vicende del passato da parte della scrittrice; infine, la presenza nel trio musicale di uno dei figli dell’autrice, Maribella Piana, indica con maggior evidenza lo stretto rapporto tra arte e vita con cui ella ha affrontato la sua esistenza di donna, madre, nonna, insegnante, attrice di prosa e televisione, scrittrice.
Nelle pagine del breve romanzo sono descritte prima le vicende di un’adolescente cittadina e borghese negli anni Cinquanta in Sicilia, le villeggiature in un paesino di mare, i primi incontri con i ragazzi, i dubbi e le paure sul sesso conosciuto o misconosciuto solo attraverso informazioni ridotte o metaforiche, le prime festicciole in casa, l’amore con Angelo sfociato in una gravidanza molto prematura.
Ci sono poi le vicende di una ragazza e donna che vive il ’68 dall’angolatura siciliana molto periferica, la nascita del figlio, l’esaurimento della passione per il marito, il desiderio frustrato di un nuovo rapporto amoroso, la ricerca di una nuova esistenza insieme alla ricerca di una nuova casa.
I ricordi solitamente vengono portati alla luce o come nostalgico rimpianto di un passato, che mai potrà ripetersi, o con la determinata caparbietà nel rifiutarli, in quanto parti di una vita che si desidera non sia mai avvenuta, oppure come capacità di rivivere e giudicare con serenità, con dolore talora, ma anche con ironia gli avvenimenti che, tassello su tassello, hanno formato la scacchiera della nostra esistenza.
Il tono con cui Maribella Piana descrive e inventa il suo passato appartiene senza dubbio all’ultima categoria, e la cifra stilistica con cui racconta alcuni episodi non è quella della distanza cinica o del freddo giudizio, ma ora quello della malinconia (quando si descrive la vita estiva nel paesino a mare, la granita in piazza, la caccia al tesoro…), ora quello dell’ironia perché “le tragedie dei tredici anni diventano commedia a cinquanta”, ora quello dell’amara rassegnazione di qualcosa che poteva divenire ma fu troncato.
Due attrici, Alessandra Costanzo e Matilde Piana, sorella dell’Autrice, hanno letto con verve e con profonda partecipazione alcuni brani del libro che correttamente dalla presentatrice è stato definito “romanzo di formazione e di trasformazione” per quanto riguarda il personaggio centrale.
Esso risulta essere anche un documento sociologico di alcuni decenni del nostro recente, ma ormai del tutto distante, passato.
Il libro può risultare molto piacevole a lettori di qualunque età e di qualunque regione italiana, ma in particolare lettori e lettrici siciliani possono immedesimarsi, gustare, rivivere, sognare, respirare alcune pagine e situazioni: il mare come elemento ludico per i cittadini ma strumento di lavoro per i pescatori che spesso non sapevano nuotare; le cameriere che provenivano dai paesi dell’interno e che, una volta conviventi nella casa dei padroni, spesso a vita, diventavano parte integrante e fondamentale della casa; il rito della granita e brioche; il ’68 siciliano, o meglio i primi anni Settanta, quando stravolgenti rivoluzioni dovettero trovare una coesistenza con strutture ataviche non solo dei grandi e del “palazzo” ma anche con quella inconscia degli stessi giovani che a parole erano capaci di affrontare i draghi ma che infine o sono ritornati ad essere borghesi come i loro odiati (in quel momento) genitori o sono stati stritolati dall’aver voluto fino in fondo far aderire le loro idee al loro vissuto.
La presentazione si conclude con un’affermazione profondamente autoironica, “le cose carine appartengono al mio passato, le cose meno carine non sono
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dove posso richiedere illibro e farmelo inviare quassu´? la storia anche se abientata in Sicilia puo´avere una parallela versione degli anni 6o,per persone che vivevono in quel periodo in altre parte d`Italia;sara´una piacevola lettura!