Ricordate la notizia della morte di Nicole, neonata morta di malasanità, passata in seconda pagina, poi in terza e quindi dissolta lentamente fino a
scomparire? Forse ritornerà quando una nuova morte, più o meno annunciata, richiamerà drammaticamente le precedenti.
Che fare dunque di fronte a queste tragedie sempre incombenti? Tornare al parto in casa come sostengono alcuni in Europa, incoraggiati anche da una risoluzione del Parlamento Europeo (A2-38/38 Carta dei diritti della partoriente), che tuttavia vincola tale scelta ad una ferrea organizzazione e al ricorso alla struttura ospedaliera in caso di rischi per la mamma o per il neonato?
Si stima che il 30% delle patologie gravi insorgenti durante l’arco di tempo che precede o segue il parto sia del tutto imprevedibile e che l’1-2% dei neonati necessita di rianimazione o cure intensive.
Ora da più di un decennio si è evidenziato, attraverso stime epidemiologiche, come i punti nascita che hanno un numero di parti annuali inferiore ai 1000 rappresentano per la madre ed il neonato un rischio aggiuntivo per la qualità assistenziale offerta.
Infatti tali strutture non sono in grado di rispettare gli standard di qualità sia per una cronica insufficienza di medici ed infermieri, spesso non adeguatamente formati alla gestione dell’emergenza, sia per una carenza di strumenti tecnologici avanzati e dedicati.
Sta di fatto che in molte regioni di Italia si è attuata una politica di riduzione, accorpando strutturalmente punti di nascita in modo da razionalizzare personale e tecnologia, in funzione di un percorso nascita più appropriato, riducendo di conseguenza i rischi correlati.
In Sicilia, pur essendo la riduzione prevista e quantificata in più decreti, sin dalla fine degli anni ’90, questa contrazione non è mai stata attuata, se non in pochi casi, anche per effetto della solita politica del consenso che ha visto sindaci, sindacalisti e operatori contrastare in maniera più o meno plateale ogni possibile modifica, rispondente a obiettivi di qualità.
Così tutti i presidi ospedalieri della provincia (Acireale, Biancavilla, Paternò, Bronte) e tutte le strutture private della provincia di Catania in cui è presente un punto nascita non possono contare sull’operatività di pediatri 24ore su 24 né su strumenti tecnologici adeguati per far fronte alle emergenze.
In questi punti nascita durante la notte e nei giorni festivi il pediatra viene chiamato da casa (pronta disponibilità) per emergenze per le quali il neonato rischia spesso la vita.
Vi è anche da considerare che nessuno di questi punti nascita è fornito di rianimazione neonatale (UTIN), come, invece, le aree metropolitane, alle quali i punti nascita dovrebbero essere collegati con un network, basato soprattutto sull’efficienza del Servizio di Trasporto Emergenza neonatale (STEN) e del servizio di Trasporto Materno (STAM).
Le UTIN a Catania sono presenti solo presso gli ospedali Cannizzaro, Santo Bambino, Policlinico e Garibaldi, con un numero approssimativo di 35 posti letto, 35 contro i 102 posti letto previsti dal decreto assessoriale 2006 per tutta la Sicilia.
Il numero di posti letto di terapia intensiva, è individuato sulla base di un fabbisogno regionale che nella nostra regione è di un posto letto per 750 nati (il numero di nati in Sicilia si è da tempo stabilizzato su 53.000/anno).
La necessità di collegare i punti nascita con le UTIN in un percorso nascita che garantisca sia la madre sia il neonato è basata proprio sulla realizzazione di STEN (Servizio di Trasporto Emergenza Neonatale) e STAM (Servizio Trasporto Materno).
Lo STEN consiste nella realizzazione di equipaggi specializzati nell’emergenza neonatale, con autoambulanze attrezzate tecnologicamente per l’assistenza neonatale, che si attiva attraverso un coordinamento previsto per specifiche UTIN di riferimento.
Istituito normativamente a livello nazionale sin dal 1998, lo STEN, è da parecchio tempo operante in molte regioni di Italia (Lazio e Toscana come regioni pilota). In Sicilia siamo in fortissimo ritardo, nonostante i decreti regionali emessi già una decina di anni fa (DR 2006) e riconfermati nel 2011.
Il decreto 2006 (9 anni dopo la istituzione nazionale dello STEN!) prevedeva la creazione di 5 centri STEN (Palermo, Catania, Messina, Enna e Ragusa). Per ognuno di essi lo stesso decreto stanziava una somma di 250.000 euro. Dove sono questi soldi?
Successivamente (decreto 2011) le sedi sono diventate 10, ma in effetti ad oggi sono operativi solo gli STEN di Palermo, Patti e Messina!!
Così chi nasce in prossimità delle tre città, dove è attivo lo STEN, ha nel caso di situazioni di grave rischio vitale, maggiori possibilità di sopravvivenza rispetto a chi nasce ad Acireale, o ad Augusta, o Lentini, o Favara……
Inoltre (lo è anche per l’attuale organizzazione regionale del 118) manca una informatizzazione della rete del percorso nascita, che permetterebbe la soluzione di molti casi di emergenza attraverso un collegamento in tempi reali con i centri di Terapia Intensiva che potrebbero, anche in assenza di posti (il posto letto è sempre una termoculla attrezzata tecnologicamente), farsi carico di gestire le emergenze, anche al di fuori delle proprie strutture.
Gli elementi per superare il gap, che caratterizza da sempre la Sicilia, anche in altri settori della sanità, sono pochi ma è necessario ed indifferibile che vengano tenuti in considerazione.
Maggiore assunzione di responsabilità da parte di coloro ai quali è affidata la nostra salute, maggiore considerazione da parte nostra di essere cittadini e non sudditi, maggiore autonomia dei dirigenti sanitari nei riguardi di
Nessuno può tirarsi indietro dichiarandosi innocente.
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