Le foto di Tony Gentile, autore fra l’altro del celeberrimo scatto che immortala Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in un sorriso complice, sono state al centro di una giornata di studi sul contributo che può dare la fotografia alla ricerca storica.
L’occasione dell’incontro, organizzato dalla associazione culturale ‘Photo Graphia’ presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali di Catania, è stata fornita dalla pubblicazione del libro fotografico di Gentile, “La guerra. Una storia siciliana”, che si avvale anche di un racconto di Davide Enia sulla propria infanzia a Palermo negli anni delle stragi.
Può il documento fotografico restituire la Memoria e dare un contributo autonomo e originale alla ricerca storica? A questa domanda hanno dato, da diversi punti vista, la loro risposta sia Rosario Mangiameli, docente di Storia contemporanea, che ha analizzato la fotografia più famosa di Gentile ed il testo di Enia, che mostra in che modo la mafia entra nella nostra vita quotidiana; sia Santo Di Miceli, fotografo e docente di Fotografia, che ha presentato una serie di famose fotografie d’autore come testimonianza storica, sulla scia delle quali si pone il lavoro dello stesso Gentile.
Sulla fotografia come mezzo di documentazione dei fatti ha ragionato Giovanbattista Tona, magistrato a Caltanissetta. Strumento di comunicazione e di racconto, la fotografia può, a suo avviso, “veicolare il virus dell’inautenticità”, non parla infatti da sola, ma ha bisogno di essere contestualizzata e interpretata. Giuseppe Strazzulla, coordinatore provinciale di Libera, ha parlato, infine, dell’uso della fotografia come contributo alla ricostruzione della Memoria collettiva.
A questo proposito, ha sottolineato come la Storia si faccia Memoria quando è capace di incidere nel tessuto vitale della società che la produce.
L’uso della fotografia nella sua funzione documentale la rende, di fatto, più vicina all’Antropologia culturale (analizza infatti il comportamento delle popolazioni attraverso l’osservazione sul campo) che alla Storia, per la quale rischia di restare un documento ambiguo. .
Le foto di grana intensa del libro di Tony Gentile, i volti, i luoghi, le situazioni che esse riproducono, inducono poi alla domanda: quanto può essere definita “bella” una foto di mafia (o di guerra?).
Le fotografie, nella loro crudezza, ricostruiscono un contesto in modo incompleto perché, per la stessa natura del mezzo, escludono un orizzonte che è proprio della parola come, nel caso di questo libro, è documentato proprio dal racconto di Davide Enia (“…era normale imbattersi nei cadaveri riversi sull’asfalto”).
Del resto, la “rappresentazione” mafiosa (e qualche volta anche quella anti mafiosa…) contiene già in sé i caratteri dell’iconografia densa di segni; per questo è così difficile rappresentarla per immagini: basti pensare alla teatralità di Michele Greco visto in Tv al maxiprocesso di Palermo, o ai film apologetici del cinema americano, da “Il Padrino” ai film di Scorsese.
Anche se è comprensibile l’uso della metafora nel titolo di un’opera artistica che punta sull’effetto emotivo, resta però il dubbio sull’uso del concetto di “guerra” per raccontare gli anni dello stragismo mafioso, per almeno tre ordini di motivi.
Non dobbiamo, in ogni caso, accettare la sfida: la mafia non può ricevere dignità attraverso la sua legittimazione come entità degna di dichiarare guerra.
In secondo luogo, spesso non c’è stata guerra, ma piuttosto collusione. Senza voler entrare nella complessa polemica sulla trattativa Stato-mafia, è il caso di chiedersi: a quale ipotetico Stato nemico avrebbe dichiarato guerra la mafia, che è insieme sistema di potere e modello di accumulazione?
Ne deriverebbe, infine, che le vittime di mafia sono “eroi di guerra”, e ci mancava solo questa, come ultimo passaggio prima che gli eroi diventino “santi”, come qualcuno ha proposto addirittura per Falcone e Borsellino (quando invece la celebre foto che li vede insieme sorridenti ci parla della loro umanità, della semplicità del loro impegno).
Niente “guerra”, dunque, quasi a giustificare i danni sociali, economici, politici causati dalle tante complicità intorno alla mafia, al massimo parliamo di “resistenza” di una parte del popolo italiano che non ha mai accettato l’acquiescenza di quanti hanno fatto finta di non vedere o, peggio, hanno approfittato dei servizi di un welfare perverso.
Come si poteva tollerare, chiede commosso Gianbattista Tona, che venissero uccisi i bambini di Palermo? E come si può tollerare oggi che vengano uccisi i bambini migranti nel “nostro” mare? L’auspicio è che il prossimo futuro ci riservi un mutamento delle coscienze che dia la possibilità di una diversa rappresentazione del mondo.
Che ai cadaveri dei morti ammazzati si possano sostituire le bandiere colorate e i volti sorridenti dei tanti giovani che dicono NO a tutte le mafie.
Gli ultimi articoli - Cultura
Tornano su Argo i catanesinpalestina per parlarci della edizione 2024 del Nazra Palestine Short Film Festival
Le notizie che provengono da Gaza e dalla Cisgiordania sono sempre più drammatiche, oltre 42.000 morti,
Guidati ancora una volta dalla penna esuberante di Nino Bellia, scopriamo un originale artista che, da
La levata di scudi contro l’ipotesi di abbattere gli Archi della Marina dimostra quanto essi siano
La tutela dei beni culturali, e di quelli archeologici in particolare, è un argomento al quale