Fa piacere che qualcuno, come l’autore dell’articolo pubblicato il 30 marzo, si accorga del disegno nascosto dietro le ‘belle intenzioni’ come quelle sulla ‘buona scuola’…
A me, in quanto anziano professore chiamato a dirigere per qualche anno ancora un’armata di ventura universitaria chiamata Dipartimento, piacerebbe anche che qualcuno si accorgesse di quanto avviene nella cosiddetta istruzione ‘superiore’, che di superiore entità rischia di avere solo le tasse e la delusione e sfiducia generalizzate.
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 31 dicembre 2014, pubblicato in G.U. – chissà per quali profonde meditazioni nel frattempo intercorse – solo pochi giorni fa, il 20 marzo 2015, prevede che le università possano “procedere all’assunzione di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato con oneri a carico del proprio bilancio per una spesa media annua non superiore al 30 per cento di quella relativa al personale cessato dal servizio nell’anno precedente”.
Il che vuol dire che ogni 10 pensionamenti si possono assumere, pur mettendoci i propri fondi, al massimo 3 nuove unità di personale (i ricercatori peraltro soltanto come precari).
Questo ‘premio’ (!) vale per le università che siano state virtuose nei loro bilanci; per quelle ‘non virtuose’ il margine è ancora inferiore, peggio per loro.
Chiunque, senza bisogno di particolari competenze o di leggere lunghe balle sulla buona università, capirebbe che se il personale va in pensione e si può sostituire solo per il 30%, una qualunque azienda – a meno che sia sovradimensionata del 70%, e certo l’università non lo è, e in certe aree è anzi già molto sottodimensionata – è destinata a chiudere.
Il disegno di buona università, neppure tanto velato, è di lasciare solo pochi atenei di valore (vedremo chi deciderà, e in base a quali criteri, chi vale e chi no) e chiudere, accorpare, e comunque dequalificare gli altri.
Alla faccia dell’autonomia dell’Università, e del diritto all’istruzione ai massimi livelli per tutti, come prevedono Costituzione e leggi.
Alla faccia dell’uguaglianza dei cittadini, visto che – chissà perché? – le buone università si trovano tutte al nord del (presunto) ugualitario paese.
Alla faccia del buon senso, che prevede di curare chi è malato (se l’università, come la scuola, è malata) non di ammazzarlo.
Alla faccia dei discorsi sulla qualità, sulla competizione nella ricerca, sulla rilevanza sociale degli studi superiori, su cui altre nazioni saggiamente investono, mentre noi tagliamo continuamente, come se ricerca e formazione dei giovani fossero l’ultimo problema della nostra bella “Italia che cambia”.
Alla faccia di tanti giovani ricercatori con la patente di bravura, in quanto ‘abilitati’ scientificamente dallo stesso Ministero mediante una farraginosa ed estenuante procedura selettiva, non potranno mai trovare posto nel turnover al 30%: cavalieri senza cavallo, cervelli spremuti e delusi, preparati per la fuga all’estero.
Alla faccia delle regole sempre più severe sui dottorati di ricerca che, stando così le regole, sono una fonte inesauribile di disoccupazione accademica e di frustrazione intellettuale.
Alla faccia di tante fiduciose matricole che studiano per professionalizzarsi (in atenei che non avranno più docenti…) e di tanti altri che, avendone le competenze, vorrebbero prepararsi ad una carriera scientifica. Traditi i primi e irrisi i secondi.
Se ne accorgerà qualcuno, prima che la ‘buona università’ si manifesti in tutta la sua
Santo Di Nuovo
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lo condivido
E dire che fino a poco tempo fa ci invidiavano la qualità della scuola e della formazione universitaria...
Che tristezza! Riusciremo a recuperare?