Mentre attendiamo con curiosità l’apertura della ‘mostra su Picasso’, vogliamo ritornare su quella appena conclusa, ‘Artisti di Sicilia’, cogliendo l’occasione di un commento piuttosto critico che abbiamo ricevuto da un nostro qualificato lettore, Franco De Grazia, insegnante di Storia dell’arte.
Per quanto entri, naturalmente, anche nel merito della qualità artistica della mostra, del commento ci sembra più interessante cogliere e sottolineare le riflessioni riguardanti l’aspetto espositivo e organizzativo, soprattutto in un momento di grande effervescenza di queste iniziative di cui va dato comunque merito e atto all’attuale Amministrazione.
Il desiderio di far rientrare Catania nel circuito della cultura ‘alta’ non deve infatti far perdere di vista la qualità complessiva delle manifestazioni artistiche, qualità che passa anche per i particolari.
In questo senso condividiamo alcune osservazioni di De Grazia: troppa roba non sempre utile a capire, gli ultimi anni del secolo documentati in modo quasi casuale (ma era proprio necessario arrivare fino all’altro ieri?), la pessima disposizione di molte opere e la frammentarietà di alcune sezioni dettata dalla struttura stessa del Castello Ursino (ma siamo proprio sicuri che sia una location adatta per questo tipo di esposizioni), una ridicola illuminazione con applique Mercatone Uno.
Ne aggiungeremmo un’altra, per quanto secondaria: le schede di accompagnamento erano zeppe di errori e refusi, in qualche caso sembravano testi scritti in inglese e tradotti con un traduttore automatico.
Va bene la ‘fame’ dei catanesi, ma una maggiore attenzione per i dettagli sarebbe auspicabile, anche per evitare le tipiche domande dell’immancabile catanese sarcastico: “quanto è costato trasferire a Catania una mostra così impegnativa per poi esporla così malamente?”
Ecco quanto scrive Franco De Grazia
“Indecente“. E’ la lapidaria risposta di un addetto ai lavori, un affermato architetto, alla mia domanda su cosa ne pensasse della mostra. Il suo giudizio era soprattutto riferito all’impaginazione e all’esposizione delle opere, disposte per lo più in modo ammassato, soffocate e soffocanti quelle della collezione permanente del museo in un percorso tortuoso e confuso, illuminate in pessimo modo: non una mostra, ma una fiera nel senso peggiore del termine.
Eppure erano presenti tante belle opere (insieme ad altre meno belle e significative) svalorizzate senza ritegno, anche se pretestuosa e deviante è risultata l’operazione in sè.
Chi, come me, ha avuto modo di vederla a Palermo, può testimoniare che almeno per la presentazione delle opere lì il discorso funzionava in modo ben diverso, con attenzione al percorso e rispetto per le esigenze del fruitore e il costo del biglietto era di 5 euro.
I dati positivi della partecipazione all’edizione catanese non autorizzano alcun trionfalismo, semmai dovrebbero fare meditare sul vuoto culturale della nostra società e sulla diseducazione del pubblico, catturato più dal battage pubblicitario messo in atto dall’organizzazione e motivato sia dalla curiosità che dal bisogno consumistico di partecipare all’ “evento”.
Tralasciando il merito storico-critico della mostra, che qui sarebbe lungo argomentare, si pone una domanda: perchè la scelta “Da Pirandello a Giudice”? Passi per gli autori ormai storicamente consacrati e segnalati dai pur superficiali pannelli esplicativi, ma quali sono stati i criteri di scelta degli artisti dagli anni ’80 in poi?
Significative le presenze di alcuni, sorprendenti (al negativo) quelle di altri (e qui sollecito l’onesto giudizio degli addetti ai lavori, gli artisti). Come si è svolta la selezione che ha portato ad alcune discutibili presenze e a colpevoli assenze? Con quali criteri e a quali condizioni?
Si è detto che nel deserto delle proposte artistiche catanesi tutto quel che arriva è in qualche modo utile. Non condivido nè questa affermazione, nè la scelta di tanti (seppure onesti) operatori artistici che hanno deciso di essere presenti in questa, come in altre operazioni pseudo culturali, giustificandosi col dire che in qualche modo è meglio esserci. Per quale motivo?
Ho sempre avuto rispetto per gli artisti che considero degli intellettuali a pieno titolo e perciò responsabili dell’educazione culturale dei nostri cittadini. A loro rivolgo l’appello a non farsi più strumento della demagogia di alcuni “critici d’arte” che insieme ad organizzatori privi di scrupoli culturali mettono insieme simili operazioni a loro escusivo profitto economico e a danno della cultura e a spingere la pubblica amministrazione a sostenere manifestazioni culturali degne di questo nome e non paraventi per basse speculazioni commerciali.
Vedremo con la prossima mostra su Picasso!
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Da persona che non abita più in Sicilia, e che quindi non ha visto la mostra, solo qualche domanda.
1. A che titolo Pirandello è un “artista di Sicilia”? Non è nato e vissuto a Roma, salvo una breve parentesi a Parigi? Non appartiene alla corrente della “Scuola di via Cavour”, romana financo nel toponimo? Oppure è siciliano per diritto ereditario, perché il papà era un famoso siciliano?
2. Il primo pensiero leggendo questo articolo è stato: andare a una mostra a Catania e lamentarsi dell’allestimento è come andare in spiaggia e lamentarsi del caldo: che cos’altro ti aspettavi? E’ da quando ho memoria che a Catania si organizzano mostre indecenti. Qualcuno si ricorda l’imbarazzo di fronte a certe illuminazioni di Andy Wahrol, di Goya degli anni ’90? Qualcuno ha presente le sculture di Haring vandalizzate nel 2001? Poi però mi sono ricordato: forse in realtà per diversi anni non se ne sono organizzate proprio. E questa articolo patisce la delusione di quella che ci si apsettava come una rinascita e poi non lo è stata. E’ così?
Concordo sul parere del prof. Franco De Grazia. Gradisco l’osservazione su Pirandello , artista siciliano. Ma a proposito di Pirandello di cui ricordo una bellissima mostra a Paternò, negli andati, lamento il fatto di non aver potuto ammirare un quadro per me particolare intitolato ” la madre ed il figlio” e con un abito della donna color rosa ” pirandello ” cioè particolare.Quella madre esposta per me era ed è ripugnante anche nei suoi più remoti significati poetici.
condivido assolutamente tutto e non aggiungo altro……….
purtroppo non sempre paga tirarsi fuori o come dite voi non prestarsi al gioco, i giochi sono talmente pochi e tirarsi sempre fuori significherebbe isolarsi .
Io non ho mai condiviso il detto ” lavoro per me”……